IN INGHILTERRA GLI STADI PARLANO.
Più che altrove.
Sono luoghi un po’ magici. porte girevoli con lo stesso effetto di quando si passa casualmente per Hastings, o per Waterloo, e ci sembra di ascoltare, nel silenzio, il clangore delle spade e le trombe che suonano la carica.
Chi ha sensibilità calcistica, sa a cosa mi riferisco. Succede ad Elland Road e a St.James Park; al vecchio Highbury e al St. Mary di Southampton.
Io sento parlare persino il vecchio Armando Picchi. Specie quando piove forte; e la terra diventa rapidamente fango.
Ma non faccio testo, perché -come diceva il mio vecchio dottore- sono un caso clinico.
Lo stadio del West Ham parla alla sua gente da centododici anni.
Si chiamerebbe Upton Park, ma per i Londinesi è il “Boleyn Ground”. Boleyn: il cognome della seconda moglie di Enrico VIII, quello dello scisma. Da dove è saltata fuori tutta l’Inghilterra più terribile; le guerre civili e “Bloody” Mary. Elisabetta I^ e, poco più tardi, Cromwell.
Nello stemma “claret and blue”, il castello dovrebbe appartenere a quella famiglia.
I martelli incrociati, invece, sono un simbolo di forza. E di sofferenza, anche. Nonostante il vezzoso nomignolo di “Academy” che gli appiopparono ai tempi di Bobby Moore e degli altri eroi che sapevano giocare, e furono tra i migliori del Mondiale ’66.
La sofferenza di chi, pur essendo squadra di rango, non ha mai vinto un titolo nazionale, per esempio (solo 3 F.A.Cup in bacheca, l’ultima nel 1980). E la sofferenza della Londra più dura: quella dei Docks, dell’East End, prima che li ripulissero perbenino e ne facessero una specie di Montmartre londinese. Con i “loft” più esclusivi, appetiti da artisti e intellettuali.
Prima, lì c’erano i cantieri navali, i portuali e le puttane. Gente dalla sbornia e dalla rissa facile; e proprio lì nacque il West Ham, vicino a quelli del Millwall… Altri soggetti poco raccomandabili, con i quali si sono presi a mazzate per un secolo.
Gente dal sangue caldo, nel bene e nel male.
Che quando si trattò di arruolarsi nella prima guerra mondiale, i tifosi degli “Hammers” accorsero in massa. E formarono addirittura un battaglione tutto loro, che si coprì di gloria in Francia (il grido “Up the Hammers!” nacque lì. Era il segnale che precedeva l’assalto alle trincee tedesche).
Erano in mille; e solo in duecento fecero ritorno a casa. Quasi tutti mutilati, o invalidi.
Quindi, si ritorna a parlare di casa.
Perché in Inghilterra non è possibile scindere un Club dal proprio stadio, che ne è il luogo dell’anima.
“This Is Anfield”, è il cartello ammonitore che accoglie gli avversari del Liverpool. Come dire: “Guardate dove siete e abbiate rispetto”. All’ingresso, una statua in bronzo che ricorda un allenatore plurivittorioso, ha la seguente scritta: “A Bill Shankly. Ha fatto felice tanta gente”.
Oppure Old Trafford, a Manchester. Dove la prima cosa che vedi è un orologio con le lancette ferme alle 15,04: l’ora esatta della sciagura di Monaco, che fu la Superga inglese.
Il West Ham, dunque, ha traslocato. Ora giocano nel nuovo stadio Olimpico, dove gestiranno meglio l’ordine pubblico soprattutto, potranno vendere più biglietti.
Il vecchio “Boleyn Ground”, probabilmente, diventerà una serie di palazzoni, o verde pubblico. Forse un supermercato: la stessa fine che ha fatto il Sarrià ,dove vincemmo con il Brasile. O, ancora più struggente, il glorioso “Gasometro” di Buenos Aires, la cui storia commosse anche Osvaldo Soriano.
Comunque sia, “Up the Hammers”.
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