ERIC CANTONA…
Il numero 7 nella Genesi rappresenta il giorno in cui Dio si riposò dove aver creato la Terra, sette sono i colori dell’arcobaleno, delle grandezze fisiche e delle unità fondamentali, sette sono i pianeti del sistema solare e i mari, sette sono i colli di Roma ed i suoi re, sette sono i peccati capitali, i sacramenti e le meraviglie del Mondo. Se andiamo dai tifosi del Manchester United e diciamo loro “number seven”, beh loro non potranno che risponderci “the Fab Four”, ovvero i nomi dei quattro giocatori che hanno scritto una pagina importante di calcio dalle parti di Mancunia con il numero 7 sulle spalle. Un numero che da quelle parti vale come il 10 da un’altra e forse più.
Il Manchester United attuale non ha bisogno né di un bomber, né di centrocampisti che vivono sui social network e nemmeno di un allenatore. Lo United di questo avvio di stagione ha bisogno di una cosa sola: un re. E questo re non può che essere l’unico King che Old Trafford abbia mai avuto: Eric Cantona, uno dei precedenti Fab 4.
Del resto, l’attaccante di Marsiglia con il colletto alzato ha scritto pagine memorabili ed iconiche ricordate ancora oggi con grande goduria da parte di chi ama il calcio.
Dotato di una personalità da rabbrividire, Cantona arrivò allo United nel novembre 1992 dal Leeds e rimase con la squadra di Alex Ferguson fino all’estate 1997. In cinque stagioni il club vinse quattro Premier League (tra cui la prima edizione della Premier League), tre Charity Shield e due Coppe d’Inghilterra. Con il terzo posto nella classifica del Pallone d’oro 1993 dello stesso Cantona dietro a Baggio e Bergkamp: due fighetti in confronto ad un uomo ruspante come è stato the King of Manchester.
Tra i Red devils ed “Eric il terribile” fu amore a prima vista. Con lui in campo, lo United uscì dal cono d’ombra dell’essere una nobile decaduta, diventando una squadra importante e che da allora iniziò a diventare una macchina di business e marketing.
La magia di Eric Cantona stava in due elementi: la maglia numero 7 ed il colletto alzato. Da una parte, il mitico numero e dall’altra l’apoteosi della sua irriverenza e della sua “arte”, tanto che le ultime due stagioni a Manchester le passò da capitano, primo non britannico nella storia del club.
Ma se si pensa a Cantona, la testa vola subito a Selhust Park, stadio del Crystal Palace, e al match di campionato del 25 gennaio 1995: Cantona pressato duro da Shaw, Cantona che commette fallo su Shaw, arbitro che espelle Cantona e…calcio volante da kung fu verso un tifoso del Palace con pugno annesso. Nove mesi di squalifica, multa milionaria da parte del club al giocatore, 120 di servizio sociale da svolgere e titolo che sfuma in favore del Blackburn Rovers. A distanza di anni, il video del calcio, sebbene deprecabile, è cliccatissimo.
Eric Cantona ed i giornalisti, una non love story tanto da paragonali ai gabbiani che si muovono verso il peschereccio che trasporta le sardine da buttare in mare.
Una certezza, il francese ai suoi tifosi l’ha però data: Cantona non si discute, si ama. E nel 2001 gli stessi tifosi del Manchester United votarono il loro bizzoso attaccante con il colletto alzato come il migliore giocatore della storia dei Red devils. Ma come, una squadra che ha avuto in rosa gente del calibro di Law, Best, Charlton, Robson, Schmeichel, Keane e altri si ritrova come “Best Manchester United football player ever” un francese spaccone ed irriverente e scorretto? Eh si, perché i tifosi non possono non amare colui che li ha fatti innamorare per cinque stagioni per carisma, tecnica ed colpi di genio, in campo e fuori.
Cantona poi si diede al cinema e al beach soccer, ma tutti non possiamo esimerci dal non dimenticare cosa ha dato Cantona al calcio: estro e pazzia, serpentine e irriverenza, gol e calci di kung fu. Cantona giocatore immortale, nei secoli dei secoli, come gli spot televisivi che lo hanno visto protagonista nei suoi anni di calciatore e poi con la barba ed un po’ di “pancetta” come narratore degli stessi. E se ancora oggi si parla di lui, non sarà certo un caso.
Del resto, per uno che negli spot parlava del calcio come la scherma definendolo “it’s a noble art”, battendosi affinché prevalessero lealtà, tecnica, cuore, rispetto e onore, ci si può togliere il cappello. Chapeau, Cantona e lui ci risponderà “au revoir” come diceva in un celebre spot televisivo dove era l’ultimo protagonista.
Perché diciamola tutta: José Mourinho non sarà “un pirla”, non apprezzerà la “prostituzione intellettuale” e non conoscerà “Lo Monaco”, ma Cantona è il King. Punto, partita, incontro.
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