Nel calcio, come nella vita di tutti i giorni, i paragoni sono sempre una cosa positiva e stimolante, sopratutto per chi viene paragonato a qualcuno di forte. Ma molte volte i paragoni sono brutti, in particolare se il termine di paragone è troppo elevato e tu non sei stato all’altezza della situazione. In Serie A c’è stato un calciatore che ha vissuto tutta la sua carriera con la spada di Damocle del paragone con un suo (quasi) coetaneo e conterraneo. Il nostro spazio “ma che fine ha fatto” oggi è dedicato ad un bresciano del ’77 che ha unito il gioco del calcio allo studio della geografia italiana, avendo girato lo Stivale in lungo e in largo tra prestiti e cessioni varie. Stiamo parlando di Roberto Baronio, un giocatore che ha vissuto la propria vita calcistica paragonato ad Andrea Pirlo. E pensare che all’inizio si diceva un gran bene più di lui che di Pirlo: tu guarda come è strano il calcio.
Un legame forte e sincero il loro e tutti a paragonarli a Sherri e Terri dei Simpson: entrambi figli del vivaio delle rondinelle e giocatori di Serie A. Che figo eh.
Roberto e Andrea, un tandem ritrovato sulla punta dello Stivale, a Reggio Calabria, nella stagione 1999/2000, spediti tra Scilla e Cariddi da Lazio (ma dai?) e Inter. I due ragazzi con davanti Momo Kallon fecero un qualcosa di clamoroso: salvezza stra-anticipata e numeri, tanti numeri. La Lazio lo riportò al volo alla base e i due, come se non bastasse, vinsero l’Europeo Under 21.
Il dado era tratto: giocatore completo, piede educato, ordine, intelligenza tecnica e personalità da vendere, questo Baronio. Ed invece quel dado non rotolò bene: tanti, troppi prestiti con il top dell’anno di Chievo e il down con la stagione a Perugia, dove ebbe un forte screzio con quel buon uomo di Luciano Gaucci. Motivo? Il numero di maglia che scelse: il 13, in onore del giorno di nascita del figlio. Gaucci disse che Baronio portava sfiga con quel numero minacciando di non farlo giocare e lui, che non voleva cambiarlo, optò per un “1×3” che accontentò tutti.
Pirlo, nel frattempo, si consacrava al Milan chiudendo (di fatto) poi la carriera con altri quattro anni super alla Juventus sull’asse Milano-Torino vincendo scudetti, Champions ed un Mondiale, mentre il nostro gnaro Baronio doveva guardare sulla cartina dove andare a giocare e, tra un guaio fisico e l’altro, combattere per un posto da titolare nella Lazio persino con Cristian Ledesma.
La carriera di Baronio è stata segnata, come si può capire, dalla Lazio: 14 stagioni complessive come tesserato, 6 e mezzo come giocatore effettivo, sette prestiti tra Vicenza, Reggina, Fiorentina, Perugia, Chievo, Udinese e Brescia. Un investimento laziale di 7 miliardi per vederlo al top solo all’ultima stagione grazie a Ballardini, uno capace di suo ed in grado di risvegliare giocatori che sembravano ex. Poi il “Balla” venne esonerato e ciao Baronio titolare.
Il nostro Roberto lasciò il calcio al termine dei suoi anni laziali, accettando l’offerta della Atletico Roma: pochi km da casa per tornare a divertire e, soprattutto, divertirsi. Ma quella squadra durò un anno e poi andò gambe all’aria.
Oggi Roberto Baronio allena la Primavera del Napoli, dopo aver allenato i giovani del Brescia e prima ancora la Under 18 e la Under 19.
Diciamo che Baronio si sta togliendo ora un po’ di quelle soddisfazioni che non si è tolto da calciatore, lasciandosi alle spalle il fatto di non aver mantenuto le promesse della vigilia e quel paragone con l’amico Andrea Pirlo.
Ma Roberto non ti preoccupare: sappi che milioni di italiani farebbero carte false per giocare a calcio in Serie A come hai fatto te. Anche con il 13 ed il 17 sulle spalle.
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:
https://chefaticalavitadabomber.it/top-5-meteore-serie-a/