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Ma che fine ha fatto: Ivan De La Peña

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Il piccolo Buddha detto anche Il Pelato era il classico giocatore che o amavi o odiavi. Io, personalmente, lo amavo. Lo amavo perché riusciva a infilare la palla dove nessun altro poteva, perché vedeva spazi dove non ce n’erano, e perché, come tutti i grandi talenti inespressi, ha avuto una carriera che non si è neanche minimamente avvicinata alle possibilità che aveva.

Questo ragazzotto basso, tarchiatello e già senza capelli a 20 anni, si era preso una maglia da titolare nel Barcellona, mica cotiche, e formava una coppia inarrestabile insieme ad un altro ragazzotto senza capelli che stava cominciando una discreta carriera, un certo Ronaldo.

In quel periodo Il Clasico non era Barca – Real, ma era il passaggio filtrante di De La Peña per Ronaldo che, ovviamente, segnava. Se dai la palla a centrocampo a uno che vede geometrie che gli altri non vedono, e gli metti davanti il più forte e veloce attaccante del mondo, l’equazione è semplicemente fatta e porta sempre allo stesso risultato, il gol.

Quindi la storia è già scritta: i due vinceranno decine di trofei insieme e saranno ricordati come una coppia meravigliosa ed eternamente impressa nella memoria del calcio spagnolo e mondiale. Invece no. Successe qualcosa. Forse al Barca si resero conto del possibile declino del giocatore e, quando arrivò Cragnotti con 32 miliardi del vecchio conio, glielo impacchettarono e lo spedirono a Roma, sponda Lazio, senza grossi rimpianti. La Lazio in quegli anni aveva giocatori come Nedved e Almeyda, e quell’anno comprava Vieri, Salas, Stankovic e Mihajlovic. La cosa divertente però è che il fiore all’occhiello di quella campagna acquisti era proprio lui, il piccolo Buddha.

Quando sbarcò alla Lazio, accolto da migliaia di tifosi in delirio e da uno stipendio da miliardi a stagione, secondo solo a Maradona e allo stesso Ronaldo passato all’Inter, sembrava più che altro il sosia del soldato PallaDiLardo di Full Metal Jacket.

In evidente stato di forma stile Galeazzi inizio carriera, tutti si resero conto che non era adatto ai ritmi del nostro campionato. Dopo un anno, senza grandi acuti, venne mandato in prestito al Marsiglia. Poi gironzolò per l’europa, ripassò dal Barca, ripassò dalla Lazio , sempre senza incidere. Quando stava decidendo addirittura di ritirarsi dal calcio giocato, arrivò l’offerta dell’ Espanol, dove giocò per diversi anni collezionando più di 150 presenze, qualche gol e numerosi assist, soprattutto ad un certo Tamudo, che non era Ronaldo, ma spesso la buttava dentro. Si levò anche due soddisfazioni: battere il Barcellona in uno storico derby, segnando pure un gol, ed esordire in nazionale a 29 anni.

Nel 2011, la triste notizia del suo ritiro. Questa volta davvero. Il calcio perdeva un grassoccio sgraziato e impacciato, che però disegnava geometrie come pochi al mondo, e infilava palle ovunque che neanche il miglior Rocco Siffredi.

Che fine ha fatto? Boh. Nel 2012 iniziò la carriera da allenatore. Si perché uno che ha quelle geometrie in testa e che aveva giocato al fianco di gente come Pep Guardiola, poteva almeno essere un buon allenatore, se non poteva più correre dietro ad un pallone.

Così l’amico Luis Enrique lo chiamò a Roma, stavolta sponda Roma, per fargli da vice. Qui il ragazzotto firmò un contratto nel giugno del 2012 salvo poi rescinderlo, per problemi personali, due mesi dopo, di fatto senza neanche iniziare la carriera da allenatore.

Poi è sparito. Forse è meglio non sapere che fine ha fatto. Non voglio proprio pensarlo dietro ad una scrivania, o ancora peggio come proprietario di un ristorante di pesce nel sud della Spagna, dove ogni tanto qualche cliente guardandolo gli chiede: “Ma tu non sei…?” e lui che risponde seccamente “No!”, con la testa bassa, mentre impiatta un branzino con patate con geometrie che solo lui può immaginare.

 


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