Una notte da incubo, che iniziò alla grande, ma che finì nel peggiore dei modi. A Istanbul 11 anni esatti fa si giocava la finale di Champions League tra Milan e Liverpool.
Era il 25 maggio del 2005, e i rossoneri, dopo esser passati in vantaggio per tre reti a zero, pensavano già di avere la vittoria in tasca. Ma non avevano fatto i conti con il ritorno veemente degli inglesi. Finì 3-3, e ai rigori fu trionfo Reds… “Un giorno ho pensato di smettere con il pallone. Ho pensato di smettere perché, dopo Istanbul, nulla aveva più senso.
In sei minuti ci hanno rimontato tre gol, e ai rigori poi abbiamo perso all’apparenza per colpa di Dudek, quell’asino ballerino, che prima di parare ci prendeva in giro a passo di danza, ma la vera condanna è stata capire che la responsabilità era completamente la nostra.” Racconta così Andrea Pirlo, nel suo libro “Penso quindi gioco”, di quella notte dannata, dove il Milan perse la Coppa… E la dignità. “Un suicidio di gruppo… Nello spogliatoio a fine partita, sembravamo degli ebeti. Non parlavamo, non ci muovevamo, ci avevano cancellati, annientati. Poi insonnia, rabbia, depressione, senso di vuoto: avevamo scoperto una nuova malattia, dai sintomi multipli: la sindrome di Istanbul. Non mi sentivo più un giocatore, ma neanche un uomo, e questo era peggio. Non mi specchiavo più, avevo paura che l’immagine riflessa rispedisse indietro uno sputo. L’unica soluzione possibile mi sembrava il ritiro. Non credo rivedrò più quella partita, l’ho giocata e rigiocata, una volta dal vivo, e le altre alla ricerca di un perché. Perché che forse neanche esiste…” Vedendo poi la squadra scesa in campo, è ancora più inspiegabile. Un qualcosa di arcano. Un vero e proprio “stupro calcistico”, impossibile da dimenticare.