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Mi ricordo di Dennis Bergkamp

Se si pensa all’Ajax degli anni Settanta si pensa a Johan Crujiff, se si pensa all’Ajax degli anni Ottanta si pensa a Marco van Basten, se si pensa all’Ajax degli anni Novanta si pensa a Dennis Bergkamp. Se i primi due hanno scritto una grande pagina del calcio contemporaneo, il terzo ha fatto storia a sé. E a volte fare storia a sé è meglio che fare storia per tutti.

Dennis Bergkamp, classe 1969 e quindi prossimo ai 50 anni, è stato un giocatore fantastico. Fiuto del gol, senso della posizione, nulla di improvvisato ma tutto calcolato per un calciatore che ha fatto sognare i tifosi di tutte le squadre in cui ha giocato, Arsenal sopratutto. E non a caso davanti all’”Emirates Stadium” c’è una statura raffigurante il biondo attaccante numero 10 che in maglia Gunners divenne un mito. Insomma, ai tifosi dell’Arsenal toccate mamma e sorella, ma non ”l’olandese non volante”.

Che mito Bergkamp anche in questa sua fobia: terrorizzato in gioventù dopo un viaggio in aereo sopra l’Etna, durante Usa ’94 prenderlo divenne la sua kryptonite e per muoversi nei lunghi viaggi si spostava con la macchina o con la nave. Ma questo non intaccò mai il suo talento, perché anche nelle trasferte lunghe, era sempre la freccia in più nell’arco dell’arco di Arsène Wenger.

Bergkamp è stato un delizioso interprete del ruolo dell’attaccante completo, con un piede destro che è stato temuto da tutti i portieri del Mondo.

Eppure, se si parla con un tifoso interista e gli si chiede di Dennis Bergkamp, questo avrà parole agrodolci nei suoi confronti. Sicuramente non dirà che è un bidone, ma uno che ha deluso in pieno le aspettative. In maglia nerazzurra Bergkamp arrivò nell’estate 1993 e vi rimase due stagioni: a parte la vittoria della Coppa UEFA la prima stagione (rivedetevi la sua sforbiciata del 2-1 contro il Rapid Bucarest nel primo turno, dove siglò una tripletta!), non ha fatto bene. Eppure portava in dote dall’Ajax gli scudetti, le coppe nazionali, le due coppe europee, il titolo di capocannoniere vinto tre volte ed il terzo posto nell’edizione 1992 del Pallone d’oro che sarebbe diventato un secondo posto nell’edizione successiva vinta da Roberto Baggio. Lo voleva Cruijff quell’estate, ma lui volle l’Inter rifiutando l’approdo nella squadra del Maestro.

Dennis Bergkamp e il fido compagno aiacide Wim Jonk arrivarono all’Inter perché dall’altra parte del Naviglio altri tre loro conterranei avevano riscritto la storia del calcio e quindi Ernesto Pellegrini, allora presidente interista, spese 18 miliardi e prese l’uno e l’altro e li diede ad Osvaldo Bagnoli dicendogli: vai e vinciamo tutto. Una Coppa UEFA non si butta mai via, ma la resa fu inferiore alla spesa.

Bergkamp ebbe la sfiga di giocare in una Inter davvero confusionaria, che giocava male, che non faceva risultati. Una squadra senza un vero progetto alla base, cosa impensabile nei suoi tempi all’Ajax. E poi la noia: la cosa più brutta per chi gioca a calcio di professione.

“Hanno fatto tante promesse, ma non erano costanti. Dicevano: “Giochiamo più offensivi”. E lo hanno fatto, ma solo per un mese, non era quello che mi aspettavo”

Per non parlare che il primo anno l’Inter si salvò al pelo e la stagione successiva Dennis Bergkamp non segnò per quasi cinque mesi, ma il suo ultimo gol in nerazzurro fu strepitoso, il 7 maggio 1995 contro il Napoli al “San Paolo”: palla presa a centrocampo, palla al piede per 40 metri scartando tutti e gol da fuori area. Quello fu il biglietto d’addio: ciao Italia, me ne vado via e divento un altro giocatore.

Di carattere non certo estroverso, Dennis Bergkamp sbagliò squadra nel vero senso della parola. Lui doveva giocare in una squadra dove la sua fantasia ed il suo estro dovevano essere lasciati liberi di esprimersi al 101%. Cosa che avvenne proprio nell’Ajax quando era un campione in erba, cosa che avvenne con la maglia dell’Arsenal dove divenne un giocatore imprescindibile.

C’è anche da dire che dove c’erano campioni affermati, Dennis the Iceman ci sguazzava: da i tempi di Winter, Bosman, van ‘t Schip, van Basten ed i fratelli de Boer a quelli di Wright, Merson, Adams, Vieira, Overmans, Parlour, Ljungberg a Pirès, fino a compagno di reparto con cui scrisse pagine importanti ad Highbury, Thierry Henry. Facile essere il più forte in una squadra di più forti, ma Bergkamp con i Gunners era il direttore di un’orchestra da prima della “Scala”, gestita in panchina da quel genio del calcio che è stato Arsène Wenger.

Dennis Bergkamp rimase all’Arsenal undici stagioni, colonna di quella squadra che, nella stagione 2003/2004, venne detta degli “invincibili” perché non perse una partita. Undici stagioni ed una sola clausola: per le trasferte dove necessitava prendere l’aereo, lui avrebbe optato per altri mezzi terrestri.

Bergkamp in biancorosso divenne un idolo di tutti gli appassionati di calcio perché uno come lui non divideva: univa. Ed è bello essere in tanti a vedere giocare uno come lui.

E tanto per capirci il 2 marzo 2002 contro il Newcastel United, il numero 10 olandese siglò il suo gol più bello: assist verticale di Pirès, il numero 10 olandese, a ridosso dell’area, toccò la palla di sinistro, fece una giravolta su sé stesso che lasciò sul posto il marcatore come nel più classico dei dribbling e Dennis Bergkamp, lesto, colpì poi di destro a tu-per-tu con il portiere avversario e segnò. La trasposizione calcistica del “genio” del Perozzi: fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. Quel gol è stato votato come il gol più bello della storia della Premier League. Un gol pazzesco. Incredibile. Unico nella sua unicità. Come pazzesco e unico fu la sua rete al Mondiale francese del 1998 nei quarti contro l’Argentina: andate a vederlo e capirete l’essenza vera di Dennis Bergkamp.

E per capire il personaggio, basta andare a rivedersi la sua partita d’addio con la maglia dell’Arsenal: 22 luglio 2006, ultima partita di Dennis Bergkamp, prima partita giocata nel nuovo impianto dei Gunners, l’”Emirates Stadium”, in un’amichevole contro l’Ajax in un revival del suo passato con ex compagni dentro e fuori dal campo con un raggiante Crujiff che ammirò il miglior prodotto aiacide degli anni Novanta che lui stesso aveva allenato e lanciato.

Un perfezionista, un preciso, uno che si faceva il mazzo in ogni allenamento, uno mai contento di sé stesso anche se segnava gol pazzeschi. In due parole, Dennis Bergkamp.

Chissà cosa avrebbe fatto Dennis “l’olandese non volante” nell’Ajax del “calcio totale”. Non lo sapremo mai, ma a noi basta ricordarlo così: piroetta, dribbling, gol. E scusate se poco.


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