“Parlar con Kakà era meraviglioso, ti metteva di buon umore”
Questa è la storia di un trascinatore, indomito e indomabile, di una squadra che lo ha consacrato ed eletto a divinità prediletta in quegli anni. Uno di quelli capaci di alterare le sorti di un confronto con il suo spunto da fuoriclasse favoloso.
Regina Brandao, psicologa ai tempi della Seleçao, ha raccontato che le parve un predestinato già appena quattordicenne, quando lo incontrò per la prima volta:
“Lo dissi subito ai dirigenti brasiliani che aveva qualcosa di speciale: la determinazione, l’autostima, la voglia di arrivare. Parlarci era meraviglioso, ti metteva di buon umore. A 14 anni lo convocarono nella selezione con i sedicenni. Aveva un bel carattere e nessuno se la prendeva quando lui gli toglieva il posto: d’altronde, come fai ad arrabbiarti con uno tanto più dotato di te?”
Eh, appunto, come fai? Sì perché stiamo parlando di Ricardo Izecson Dos Santos Leite, meglio noto al Mondo calcistico come… Kakà.
Pescato da Leonardo nel Saõ Paolo, Kakà approdava al Milan come un talento sì molto promettente, ma ancora tutto da scoprire. «All’inizio per me stavamo parlando di un acquisto al buio, poiché non l’avevo mai visto, nemmeno in cassetta, e una punta di preoccupazione ovviamente c’era. Tutti mi dicevano la stessa cosa: “Si, ha delle potenzialità, però non è velocissimo. In Italia potrebbe trovare difficoltà negli spazi stretti…” Non svelo i nomi dei miei informatori per evitare a tutti loro una brutta figura. Moggi poi da Torino iniziò a bombardare con battutine del tipo:”con quel nome lì in Italia è spacciato”, “non abbiamo voglia di Kakà”, “alla Juve siamo tutti stitici”… Era puro cabaret e mi venne un dubbio: stai a vedere che ha ragione Lucianone, e non sarebbe una novità…»
“Quando lo vidi la prima volta mi misi le mani nei capelli”
Dirà Carletto nella sua autobiografia, dove racconta anche della prima volta che lo vide arrivare. «Quando lo vidi la prima volta mi misi le mani nei capelli: occhialini, pettinatissimo, faccia da bravo ragazzo, solo non vedevo la cartella con i libri e la merendina. Oddio, abbiamo preso uno studente universitario. Benvenuto all’Erasmus.
Finalmente un bel giorno si presentò da noi per allenarsi. Prima domanda che avrei voluto fargli:’Hai avvertito papà e mamma che oggi non vai a scuola?’. Poi però è sceso in campo e… Apriti cielo. Ma apriti per davvero… Con il pallone tra i piedi era mostruoso. Uno dei giocatori più forti che abbia mai visto…»
Una vera e propria sorta di luce divina, che illuminava la grande “Scala del calcio”, l’esigente e romantico teatro di San Siro. Prima ancora però illuminò i campi di Milanello, dove i compagni cominciarono a capire la sua maestosità sin dai primi allenamenti. «Al primo contrasto si trovò di fronte Gattuso, che gli diede una spallata terrificante, ma non riuscì a rubargli il pallone. Rino la prese con estrema filosofia, allietandoci anche con un dolce pensiero, conseguente a quell’azione:”ma vaffancul!”. A modo suo stava promuovendo il suo nuovo compagno. Il quale, dopo aver tenuto il pallone, ha fatto un lancio di trenta metri, fregando anche Nesta che non riuscì a intercettarlo. “No, aspetta un attimo, c’è qualcosa che non va. Signore mio che calciatore ci hai spedito quaggiù?” Primo, secondo, quinto allenamento, sempre uguale. E ho pensato “Caro Moggi, sarà perché mangio tanto, ma a me piace Kakà!”
Quando toglieva gli occhialini e infilava i mutandoni, diventava quello che non ti saresti mai aspettato: un fuoriclasse meraviglioso.»
Abbiamo capito Carlè: fu amore a prima vista. Come per i tifosi rossoneri. Perché lui era “musica e magia”, era “smoking bianco”. Lui era … Kakà.
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