Ma che fine ha fatto Domenico Morfeo? Ripercorriamo la storia del giocatore e andiamo a scoprire che fine ha fatto il fantasista abruzzese.
Abruzzo, una Regione incredibile: mare, colline e montagne in pochi chilometri. Un entroterra tra i più belli d’Italia dove si mangia bene e si beve altrettanto.
Calcisticamente, l’Abruzzo ha dato i natali ad uno dei talenti più cristallini del nostro calcio. Un giocatore che ha interpretato al meglio il ruolo del “fantasista”, uno dei più forti numeri 10 del nostro calcio tra gli anni Novanta e Duemila. Peccato che sia stato troppo a fasi alterne, passando dal classico “partitone” alla classica “partitaccia” nel giro di pochi incontri. Signore e signori, Domenico Morfeo.
“Mimmo” da San Benedetto dei Marsi parte dalla Provincia aquilana verso il Nord, entrando, a quattordici anni, nel settore giovanile di quella squadra celebre per il suo grandissimo vivaio, l’Atalanta. Morfeo a 17 anni debuttò in Serie A e con sé portò in dote i successi con la Primavera nerazzurra dove nel 1993 aveva contribuito al double campionato-“Viareggio”.
Rimase alla Dea quattro stagioni, dimostrandosi come un vero talento: la stagione 1995/1996 è quella della consacrazione, segnando ben 11 reti, lui che era un trequartista.
Lasciò Bergamo per Firenze nell’estate 1997 e da allora iniziò un pellegrinaggio in molte squadre di Serie A: dal Milan al Cagliari, dal Verona all’Inter con altri ritorni sull’Arno e nella città divisa tra “alta” e “bassa”. Tanta classe, piede giusto ma troppa discontinuità.
I lampi della carriera furono in Viola (dove patì l’arrivo di Edmundo ed una società con gravi problemi…societari) e all’Inter, con un anno al Milan dove vinse, da non protagonista, lo scudetto 1998/1999.
La carriera del ragazzo aquilano trovo un’impennata a Parma, tra il 2003 ed il 2008, dove sembrava essere tornato il Morfeo degli inizi
Dopo i ducali passò al Brescia in Serie B ma non giocò e quindi, a 33 anni, decise di scendere in Serie C (allora Lega Pro) con la Cremonese, dove chiuderà con il calcio professionistico nel giugno 2009. L’anno dopo accettò l’offerta della squadra del suo paese, nella Seconda categoria aquilana, ritirandosi a fine stagione.
Dieci anni senza il calcio di Domenico Morfeo, una mancanza che deve essere celebrata perché stiamo parlando di un giocatore fortissimo, uno che ha fatto innamorare gli amanti del calcio, in particolare quelli che amano il gesto, il tocco magico. E non a caso Morfeo veniva soprannominato “Maradonino”. Motivo? Beh, andate a guardare qualche suo gol o qualche sua giocata e poi ci direte.
Morfeo è come quello studente che la maestra definisce “bravo ma potrebbe fare di più”: la rabbia di ogni genitore, anche se Mimmo nei suoi sprazzi di carriera ha fatto prestazioni da numero 10 e gol incredibili, soprattutto su punizione.
Morfeo fa parte di quella generazione di calciatori italiani nati tra il 1973 ed il 1976 con cui vinse l’Europeo Under21 nel 1996 in Spagna contro tutti i pronostici. Mimmo, con sulle spalle un inedito numero 17, fece un torneo clamoroso. Morfeo giocò da protagonista la finale con la Spagna e si incaricò di calciare il rigore decisivo: gol e azzurrini sul tetto d’Europa per la terza volta consecutiva. Di quella Under, cinque giocatori diventarono campioni del Mondo a Berlino, altri ebbero una carriera lusinghiera mentre altri non giocheranno mai una partita con la Nazionale maggiore. Tra questi, ovviamente, Domenico Morfeo.
La domanda è: perché Morfeo è stato un incompiuto? Semplice, Morfeo aveva due caratteristiche che frenano qualsiasi calciatore: la tendenza ad infortunarsi ed il fatto di sentirsi più forte di tutti gli altri. “Mimmo” ha avuto la sfiga di infortunarsi almeno una volta a stagione (e questa è davvero una brutta cosa) e si è sempre ritenuto super partes rispetto ai compagni di squadra, un giocatore chi tutto doveva essere dovuto. E questo è un male, per qualsiasi spogliatoio.
Cosa fa oggi Domenico Morfeo? Fa l’imprenditore, avendo aperto un centro commerciale ad Avezzano (nel suo Abruzzo, dal nome “Ten”, non a caso) ed un ristorante nella città dove ha chiuso la carriera in Serie A, la città dove ha fatto sognare una tifoseria che stava vivendo con nostalgia il suo recente passato dorato calcistico, Parma.
Cè da dire una cosa: nel calcio, non serve vincere scudetti, coppe e mondiali per diventare qualcuno. Basta anche aver fatto un’onesta carriera come Mimmo Morfeo, classe 1976, per essere sempre ricordato negli annali del nostro calcio.
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