Era il 1994, a 4 anni di distanza dalla tragedia sportiva dei mondiali di Italia 90, sognavamo di portarci a casa il titolo trascinati dall’immenso Divin Codino. Era l’anno dei mondiali americani, quelli che, come cantavano Elio e le Storie Tese, agli americani proprio non interessavano. Ma a noi si. E quando ci sono i mondiali, oltre a sperare di vincerli, noi italiani ci godiamo questa sagra di “meravigliosi incompetenti sportivi” che sanno a malapena cos’è il calcio, perché si sa, non hanno le nostre tradizioni. Tra i vari protagonisti di quel mondiale c’erano Stoichkov, Romario, Bergkamp, Batistuta, Bebeto, oltre agli intramontabili idoli Milla, Valderrama, Jay Jay Okocha e perfino un Diego Armando Maradona alla fine della sua carriera. Ma noi potevamo scegliere gente così banale? Ovviamente no, e così abbiamo messo gli occhi su questo ragazzone, una specie di Vichingo trasferito in America, lunghi capelli e barba rossa fuoco, che ha illuminato le nostre notti americane.
Era il ragazzo venuto dal college. Era il calciatore senza carriera e che suonava il rock. Era Alexi Lalas, difensore centrale della eccentrica nazionale statunitense.
Si, perché al momento della convocazione in nazionale, non era neanche un professionista. Giocava nella squadra del suo college e venne chiamato perché onestamente in giro non c’era niente di meglio. Al mondiale non sfigurò, segnò un gol alla Colombia, ingiustamente annullato, e si fece notare per le sue pronte chiusure e la grinta messa in campo. Ma fuori dal campo già stava diventando un idolo. Fuori era un rocker, suonava da tempo con una band e si faceva notare per i suoi strambi comportamenti. Durante quel mondiale si sparse anche la voce che avesse una dotazione fuori dal normale, diventando sogno non tanto segreto delle donne che seguivano il calcio.
Idolo, non ci sono altri modi per descriverlo. Dopo il mondiale venne acquistato dal Padova, che era in serie A, e ancora ricordo l’asta selvaggia che facemmo al fantacalcio per accaparrarcelo.
Non fece male in Italia, anche se non segnò come sperato. Ma tenne una buona media e si tolse la soddisfazione di segnare l’unico gol italiano al Milan, portando il suo Padova alla vittoria contro i campioni d’Italia e d’europa in carica. Al secondo anno il Padova retrocesse in serie B, lui decise di lasciare l’Italia, che continua ad amare ancora oggi, e tornò in America dove giocò per tutte le maggiori squadre della Major League, in un’epoca in cui ancora non c’era la Formica Atomica a dettare legge. In Italia sono due gli aneddoti che rimarranno per sempre nella storia: quando venne quasi arrestato dai Carabinieri, allertati dai suoi vicini per i rumori che venivano da casa sua, che lo trovarono nel garage intento a tirare pallonate contro la saracinesca in metallo e urlare a squarciagola la telecronaca delle sue imprese. E quando in una intervista, rispondendo ad un giornalista che gli chiese cosa ne pensasse di Zeman che aveva detto che lui non era adatto al calcio italiano, disse “Zeman è un vaffanculo!”. Mitico, davvero.
Ma che fine ha fatto? E’ sempre stato un ragazzo iperattivo, e lo è rimasto. Continua a suonare il suo rock, con discreto successo. Ha fatto il dirigente di alcune squadre americane, commenta il soccer per la tv, ha perfino superato l’esame per diventare arbitro di calcio. Per non smentirsi però, come hobby si diletta a costruire stadi di sabbia nelle spiagge del mondo, per poi postarle su instagram.
Ma a detta sua, la più grande impresa della sua vita è stata laurearsi. Si, perché ha impiegato ben 26 anni per conseguire quella laurea per cui aveva iniziato a studiare da ragazzo, quando ancora non sapeva che cosa il destino avesse in serbo per lui. Si è laureato lì, dove tutto era iniziato, in quello stesso college che lo aveva visto iniziare la sua carriera da calciatore, quel college che lo aveva di fatto lanciato nell’Olimpo degli eroi, degli indimenticabili, degli ignoranti del pallone per eccellenza.
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