Un viaggio nella storia scritta da un grande campione. Johan Cruijff, il “Profeta del gol” .
Ieri sono passati tre anni dalla morte di Hendrik Johannes Cruijff detto Johan. Il Mondo del calcio tre anni fa perse il suo Pelé bianco, il suo Profeta del gol. Aveva 68 anni, un mese dopo esatto ne avrebbe compiuti sessantanove. “69”, come l’anno in cui il Mondo conobbe l’Ajax, Rinus Michels, il Calcio totale ed una squadra giovanissima che da lì a quattro anni sarebbe diventata un’icona del calcio. Gerrie Muhren, centrocampista di quell’Ajax, uno che al “Bernabeu” nella semifinale di ritorno della Coppa dei Campioni 1973, si permise di palleggiare a centrocampo senza che nessuno gli togliesse la palla, disse che quella squadra avrebbe vinto otto Coppe dei Campioni consecutive e non solo tre. Per colpa di Cruijff, principalmente, la profezia di Muhren non si avverò.
Cruijff ha cambiato il modo di intendere il calcio. E’ stato la storia di questo sport contribuendo a trasformare l’Olanda, una Nazione arretrata calcisticamente fino all’inizio degli anni ’70, nell’”arancia meccanica”. Cruijff è stato la quintessenza della pedata, elegante, mai banale, moderno ma sconfitto da un qualcosa più grande di lui: il tumore ai polmoni.
Era nato ad Amsterdam, Cruijff. O meglio a Betondorp, quartiere periferico della capitale del Paese dei tulipani, dei polder, dei diritti civili avanzati, della massima libertà di espressione, dei Provo, della tolleranza, dei mulini a vento e delle dighe. Abitava vicino al “de Meer” Cruijff, il tempio della sua squadra preferita, l’Ajax.
Aveva le stimmate del predestinato Cruijff, tanto che a dieci anni entrò nelle formazioni giovanili rosso-bianche, con la madre che convinse la dirigenza ajacide a visionare quel suo figliolo che pensava solo a giocare e ad andare a vedere l’Ajax con il padre, morto quando lui aveva solo dodici anni.
Cruijff è stato uno dei grandi di questo sport: lo hanno chiamato Pitagora con le scarpe da calcio. E’ stato la stella cometa del Calcio totale, quel modo di giocare che non solo nessuno, fino al 1969, aveva mai giocato prima ma che nessuno aveva mai pensato prima.
Era un vincente, Hendrik Johannes. Voleva il meglio da sé stesso e dalla sua squadra e guai a contraddirlo. Non a caso nell’estate 1973, dopo che i compagni non lo rielessero capitano fece armi e bagagli, se ne andò al Barcellona spinto anche dal suocero Cor Coster, uno spregiudicato uomo d’affari considerato il prodromo dell’attuale ruolo del procuratore sportivo.
Trovò Michels in Catalogna, trovò una squadra forte ma non vincente. Appena arrivato, i blaugrana vinsero la Liga dopo quattordici anni di attesa. Quattordici, come il suo numero di maglia che lo ha reso un unicum in un’epoca in cui la numerazione era 1-11.
Ah quel numero 14, il suo numero 14, quel numero che è altrettanto iconico come lui: a 14 anni vinse il suo primo campionato con i giovani dell’Ajax e non volle più lasciarlo, salvo la parentesi barcelonista. Il numero 14 nella vita di Johan Cruijff è ricorrente. Sempre.
Dopo gli anni in Catalogna si fece un giro nella NASL americana, poi andò a Valencia con il Levante per chiudere, sempre alla grande, all’Ajax e al Feyenoord, le due rivali storiche d’Olanda.
Da allenatore in campo, non poté che allenare anche…in panchina: fece tornare vincente l’Ajax tra il 1985 al 1988, ma scrisse una grande pagina di calcio a Barcellona, allenando quella squadra che divenne il Dream team del calcio. Tra i suoi allievi prediletti, uno che scriverà anni dopo una grande pagina di calcio in panchina, Josep Guardiola, quello che con il tiki taka ha portato il Calcio totale negli anni Duemila.
L’apoteosi della carriera del numero 14 di Betondorp fu il Mondiale tedesco occidentale del 1974. Un Mondiale con un Cruijff davvero in grande spolvero ed una squadra che giocava a memoria e schiantava gli avversari. Avrebbe schiantato anche i tedeschi occidentali in finale se la partita fosse durata 53 secondi: calcio d’inizio olandese, quindici tocchi tutti oranje con Cruijff che di colpo cambiò modo di giocare ed arrivò in area e fu atterrato, guadagnandosi il primo rigore un una finale mondiale. La coppa la vinse poi la Germania ovest, ma a quarantacinque anni di distanza ci ricordiamo ancora dell’”arancia meccanica” di Michels, Cruijff, Neeskens e del loro portiere (Jan Jongbloed) con sulla schiena il numero 8 e non della squadra teutonica (se non per la rivalità Beckenbauer/Netzer).
Che spettacolo quell’armata oranje: difensori che attaccavano, centrocampisti che facevano gli attaccanti e che difendevano, attaccanti che facevano anche i liberi. Sì, se serviva Cruijff faceva anche il difensore centrale. Era il Calcio totale, bellezza.
Sono tre le gesta migliori della carriera di Cruijff: la Crujff draai; il gol al volo di tacco nel Barcellona contro l’Atletico Madrid; il “rigore in movimento” nel suo secondo ritorno all’Ajax. E’ stato un pezzo da 90 del calcio, JC14.
Un idolo per tutti quelli che hanno vissuto gli anni Settanta. Persino gli ideatori del cartone animato “Holly&Benji”: Julian Ross, capitano e fantasista della Mambo, aveva il numero 14 ed era liberamente tratto dalla vita calcistica di Cruijff, tanta da essere chiamato “principe del calcio”.
Nel 1997 Johan Cruijff diede vita alla sua “Foundation”, la fondazione creata per aiutare i bambini in difficoltà e avviarli al gioco del calcio. Quante sono le regole della sua Fondazione? Quattordici, ovviamente.
Tre anni fa Johan Cruijff ci ha lasciato ma è come se non ci avesse mai lasciato: al numero 14 del calcio è stato dedicato lo stadio di Amsterdam, dal 2007 la sua numero 14 è stata ritirata e quando verrà ristrutturato il “Nou Camp” ci sarà una sua statua ed avrà una strada intitolata nei pressi del nuovo impianto calcistico.
Negli ottavi di finale di questa Champions League si è molto parlato della fantastica rimonta dell’Ajax dei giovani di Erik ten Hag contro i tri-campioni in carica del Real Madrid e molti hanno paragonato la squadra aiacide di oggi con quella di Cruijff (1965-1973) e di van Gaal (1991-1997). Quest’ultimo pupillo del Profeta del gol. Forse è un azzardo, ma questo Ajax gioca bene a calcio, è fresco ed è motivato. Come l’Ajax di Michel, Kovacs e di, appunto, Cruijff.
Che dire? Bedankt voor alles, Johan. Grazie di tutto, Profeta del gol.
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