“Nonno dice che sono il numero 1”. La storia di Marcelo.Il FútBol Sudamericano.
È arrivato dal nulla.
Nessuno a Madrid si accorse del suo arrivo, nemmeno lui.
Sì perché quel giorno Marcelo era arrivato al Santiago Bernabeu per un semplice colloquio con i dirigenti ‘blancos’, ma al suo arrivo trovò sul tavolo un contratto con il suo nome stampato sopra.
“Ti andrebbe di giocare per il club di calcio più grande del mondo?”
Sembra l’inizio di un film meraviglioso, probabilmente lo è, ma non fu così semplice.
Marcelo era il classico bambino che proveniva da una famiglia povera, uno di quelli che al massimo poteva permettersi un sogno.
Il sogno di Marcelo era diventare come Ronaldo. Lo aveva capito presto, già nel ‘94 quando durante i mondiali si ritrovava per le strade assieme ai suoi coetanei a dipingere le mura coi volti degli eroi della Seleçao che sarebbero tornati in patria con la coppa del mondo.
“Cavolo, anche io voglio diventare come loro!”
Un sogno comune in Brasile, ma non così semplice da realizzare, soprattutto in un periodo storico in cui in anche la benzina era troppo costosa per le famiglie.
Il nonno ebbe un ruolo fondamentale nella carriera di Marcelo.
Era lui ad accompagnarlo a giocare a futsal a bordo di una vecchia Volkswagen Variant del ‘69.
Quando i viaggi diventarono molti però, non c’erano abbastanza soldi per la benzina, così il nonno decise di vendere la sua auto per pagargli i biglietti del pullman.
“Mio nipote è il miglior giocatore di Rio! Il miglior giocatore in Brasile! Magnifico! Inarrestabile!”.
Ai suoi occhi Marcelo era un fenomeno senza eguali, nessuno come lui ha creduto davvero nel suo talento, soprattutto quando giocava male.
“La prossima volta andrà meglio, non preoccuparti”, gli diceva con un sorriso scintillante.
Qualche tempo dopo Marcelo fu chiamato dalle giovanili del Fluminense per giocare a 11.
Il campo d’allenamento si trovava a Xerém, troppo lontano per poterselo permettere, quindi si stabilì nel dormitorio. Suo nonno guidava di notte ogni settimana per permettergli di passare la domenica a casa.
Dopo molti viaggi era sfinito, una vista troppo dolorosa per il giovane Marcelo che decise di lasciare il calcio.
“No, no, no Marcelo. Non puoi mollare adesso dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto. Io devo vederti giocare al Maracanã un giorno.”
Esattamente due anni dopo Marcelo debuttò con la maglia del Fluminense al Maracanã. Suo nonno era sugli spalti.
Finalmente stava vedendo ciò che nella sua testa aveva sempre previsto.
Il suo nipotino stava giocando al Maracanã.
Fu questione di tempo prima dell’arrivo del Real.
Marcelo non aveva nemmeno idea di cosa fosse la Champions League perché in Brasile era trasmessa solo nei canali a pagamento, un lusso per lui. Quando entrò nello spogliatoio accompagnato da un rappresentate dei ‘blancos’ e vide giocatori come Beckham, Figo, Raùl, Casillas e Cannavaro rimase senza parole. Anzi, qualcosa riuscì a dirlo.
“Oh mer*a!!”
Quei giocatori li aveva visti solo alla PlayStation, ora invece erano tutti davanti a lui e Roberto Carlos si stava avvicinando per presentarsi: “questo è il mio numero, se hai bisogno chiama!”
Era un sogno impossibile da spiegare. Gli standard erano molto alti, solo i migliori potevano giocare li. Dopo un anno, nonostante l’aiuto di tutti quei fenomeni i dirigenti chiamarono Marcelo in ufficio.
Volevano mandarlo in prestito per fare esperienza.
Gli crollò il mondo addosso, non avevano più bisogno di lui.
Lo facevano per il suo bene, ma sapeva anche che avrebbe potuto non tornare mai più.
“Dovrete ammazzarmi per farmi firmare”.
Decise che avrebbe lottato e convinto l’allenatore, voleva giocare per il Real Madrid e nessuno poteva impedirglielo.
Quell’estate Roberto Carlos se ne andò e iniziò a giocare di più.
Ogni estate tornava in Brasile, andava a trovare suo nonno.
Teneva un armadietto personale in cui conservava tutti i cimeli calcistici riguardanti la carriera del nipote sin da quando aveva sei anni. Sapete, articoli di giornale ritagliati, foto e cose così.
Marcelo aveva un solo desiderio, regalare al nonno altre due foto da aggiungere al suo armadio: la prima con la Champions League, la seconda con la coppa del mondo.
Nel 2014 il Real Madrid arrivò in finale ma Marcelo non giocò da titolare. Fu una grande delusione.
All’ultimo minuto il Real era sotto ma Sergio Ramos pareggia, Ancelotti chiama subito Marcelo e Isco per mandarli a scaldare.
Nei tempi supplementari il Real Madrid schiacciò l’Atletico ed uno dei gol fu segnato proprio da Marcelo che iniziò una corsa folle per tutto il campo.
Ripensò alla Wolkswagen del nonno, ai sacrifici, alle partite viste in tv.
Ora era lì.
Ce l’aveva fatta.
Il Real Madrid aveva vinto la tanto agognata ‘décima’. Appena in tempo, perché qualche mese dopo morì.
Sono più di dieci anni che Marcelo ogni mattina entra nei campi di allenamento del Real Madrid ed è tutto grazie a suo nonno.
Sapere che aveva fatto in tempo a vederlo alzare al cielo la Champions League è e sarà sempre la soddisfazione più grande della carriera di Marcelo.
Un ricordo che il nonno, ne siamo certi, conserverà gelosamente nel suo armadietto.
Anche da lassù.
Fabio Perfetti.