Pillole di storia di un talento esploso a metà: tutte le curiosità su Alvaro Recoba, uno dei migliori mancini del calcio moderno.
Che storia bellissima sarebbe stata? Bellissima. Se lo chiedono in molti. Alvaro Recoba si è sempre accontentato e di strada ne ha comunque fatta, partendo dal suo Uruguay destinazione Italia, andata e ritorno. Con uno scatto diverso avrebbe conquistato il mondo. Non ha vinto coppe di grande prestigio, mai nessuna Champions League ed è un paradosso. Il miglior talento sinistro sudamericano che la storia del calcio degli anni novanta abbia mai svezzato, nel librone dei ricordi si coccola quasi solo trofei nazionali, due scudetti con l’Inter e quella Coppa Uefa che prima del triplete di Mou brillava al centro della sala trofei nerazzurra.
Recoba Alvaro, il pupillo di Moratti
Per anni la sua presenza ad Appiano fu coperta da un fitto mistero. Il giocatore più pagato al mondo tra il 2001 e il 2003 fu scelto da Massimo Moratti – all’epoca presidente dell’Inter – nel 1997. Era estate e il patron nerazzurro venne colpito da quel ragazzotto un po’ panciuto e col caschetto indecente che giocava per il Nacional di Montevideo. Gli amici lo chiamavano “El Chino“. Aveva gli occhi un po’ a mandorla, i tratti somatici orientali, sembrava un cinese trapiantato in Uruguay. Moratti fu folgorato però dai suoi dribbling e dall’abilità che mostrava nel superare le difese avversarie. Un amore nato in videocassetta. Sembra Mariolino Corso, quindi doveva vestire i colori dell’Inter. Era scritto nel destino. Partì il contatto diretto con l’Uruguay. Recoba diventò nerazzurro nel mese di luglio per 7 miliardi di vecchie lire. Era l’estate di Ronaldo all’Inter, il mondo piangeva la scomparsa di Lady D e a San Siro – nell’ultimo decennio terra di conquiste europee del Grande Milan – l’altra parte di Milano sognava il ritorno nell’Olimpo del calcio. Durante la presentazione del Fenomeno i riflettori del “Meazza” illuminarono anche il volto di Recoba e lui si sentì un po’ in imbarazzo. Anni dopo dirà: «Ero come un infiltrato alla festa di Ronaldo».
Gol Recoba: dalla cinquina al “campetto” al salto nel grande calcio
Un po’ fuori dal mondo Recoba lo è sempre stato. Anche in campo, senza mai godere di un ruolo ben preciso. Ha goduto comunque, anzi, probabilmente di più. Memorabile una conferenza stampa di Hector Cuper nel novembre del 2002: «Recoba è un centrocampista? Credo che no! È un’ala? Credo che no! Un trequartista? Credo che no! È un attaccante che si esprime al meglio quando è libero di svariare su tutto il fronte? Credo che sì!». Libertà è la prima parola impressa sul suo vocabolario. Una volta, da giovane promessa si dimenticò di partecipare alla finale di un torneo nazionale e lasciò soli i compagni in battaglia. Andò serenamente a pescare, la passione di sempre sfogata durante il tempo libero ancora oggi. Libertà. Lo andarono a chiamare nell’intervallo con la squadra sotto di tre reti. Entrò in campo come se nulla fosse successo e di gol agli avversari ne rifilò addirittura cinque. Ribaltò tutto. Un baby Recoba in quel pomeriggio sfogò anche le sue qualità. Fu notato da Rafa Perrone, lui pescatore di talenti, stella degli anni Settanta del Danubio diventato poi nel suo Club tecnico delle giovanili. Lo volle in squadra. Era il 1993. Nella sua Città, Montevideo, “El Chino” iniziò la scalata verso un posto d’onore verso il calcio mondiale.
Acquistato per un impianto di illuminazione
Alvaro si era messo in mostra tra le vie nascoste della Capitale, sopra un campo privo di illuminazione. A una certa ora non si poteva più giocare. Niente più spettacolo e sogni. Ma tanto la luce ce la metteva il piccolo Recoba, che non perdeva occasione per vincere anche contro i giovanissimi del Danubio. Perrone capì che l’unico modo per invertire la rotta era acquistarne il cartellino. Bastò davvero poco a convincere quella squadra di periferia: vennero offerti i soldi per installare in campo un impianto di illuminazione fatto e finito. C’era un altro problema però: il giovane Recoba non amava per nulla gli allenamenti, preferiva pescare immerso nella natura che sudare ogni giorno sotto il sole e in palestra. Perrone trovò la soluzione: lo portò a vivere a casa sua e lo educò come un padre. Gli insegnò anche i trucchi del mestiere, lui che negli anni d’oro del calcio a Montevideo era considerato un genio, il mago delle punizioni. Quel primo capitolo della storia diede origine ad altre storie, come quella che legò per sempre Alvaro alla figlia di Perrone, Lorena, madre oggi dei suoi due figli Natalie e Jeremia.
All’altezza di Dio
Nel 1996 rimase a Montevideo ma passò al Nacional. Per un solo anno. Il segnò coi Tricolores lo lasciò poco prima di salutare destinazione Milano: firmò la conquista della Liguilla Pre-Libertadores de America (torneo per le migliori squadre della Primera Division) da capocannoniere. Vincerà due volte il campionato al suo ritorno nel 2011, ancora in uscita dal Danubio. I ricordi lo hanno sempre affascinato e il destino gli ha consegnato finali molto simili tra loro. Nel 2014, poco prima di lasciare il calcio giocato, regalò al Nacional la perla contro il Penarol che valse il titolo nel torneo di Apertura. Affascinato dai ricordi ne ha lasciati molti in ogni spogliatoio che l’ha visto protagonista. C’è chi addirittura, compagno di squadra, si tatuò il suo volto sull’avambraccio: Gaston Pereiro. Il presidente del Nacional, Eduardo Ache, pensò anche di omaggiarlo con una statua nel Parque Nacional, accanto a un mostro sacro della storia del Paese, Castol Gardel, il più famoso compositore di tango di tutti i tempi. «È arrivato all’altezza di Dio», disse quel giorno Pereiro. Se non si fosse accontentato per davvero, se solo avesse messo un po’ di ambizione in più nelle gambe e nella testa, quel cinesino dal sinistro fatato chissà cosa sarebbe potuto diventare. Altro che un Dio!
Recoba gol Empoli: “El Chino” incanta il “Castellani”
Tra le gesta da ricordare della storia del calcio, una menzione ce l’ha proprio Alvaro Recoba. Era il 25 gennaio 1998 e al “Castellani” di Empoli decise di fare una cosa fuori dal comune. In molti se la ricorderanno. Quello è stato uno dei gol più belli che l’attaccante uruguaiano, in nerazzurro dieci stagioni, con l’intermezzo di Venezia dove in sei mesi riuscì a salvare la squadra lagunare. Recoba Alvaro da Montevideo all’Inter ne ha segnati ben 72: punizioni, gol da fuori area, gol dalla bandierina. Tutti di sinistro, il suo piede. Si presentò a San Siro il 31 agosto 1997 con una doppietta che diede i tre punti all’Inter contro il Brescia quando tutti erano lì per vedere il debutto di Ronaldo. Che poi a dire il vero anche le due reti contro il Brescia andrebbero menzionati perché sono stati due capolavori balistici. Riuscì anche a segnare dal corner con l’Inter, nel suo ultimo gol in nerazzurro il 29 aprile 2007, un mese prima della sua partita d’addio con la maglia della Beneamata: sempre contro l’Empoli, ma a San Siro, segnò un gol olimpico. Poi fece un anno al Torino, visse due stagioni in Grecia e tornò nel suo Uruguay. Danubio e Nacional.
Recoba gol, che gol! Se si parla di lui non si può non citare e narrare quel gesto di Empoli. Avete presente il “genio” del film di Monicelli, Amici miei? Il Perozzi nel parlare di questo disse che era «fantasia, intuizione, decisione e velocità». Ecco, a Empoli si compì il genio: palla a ridosso della linea di centrocampo sul piede del 20 uruguaiano che, senza nemmeno pensarci, fece partire un missile verso la rete. Una magia. L’Inter agguanta il pari, dopo lo svantaggio del primo tempo.
Recoba è stato il miglior esempio di giocatore che «poteva, ma non ha voluto». Come detto, non gli piaceva allenarsi. Perché forte era forte, è che correre e sudare non era pane per i suoi denti. O meglio, per i suoi piedi. O meglio ancora, per il suo piede. Quello sinistro.
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