Una vita racchiusa in pochi attimi. Una carriera da raccontare in qualche decina di metri. Un gol da consegnare alla storia.
Per alcuni Adriano Leite Ribeiro è soprattutto questo, e forse gli basta così. Per altri è molto di più, nel bene e nel male. Quel che è certo è che non si può giudicare un artista solo da un’opera, per quanto essa sia meravigliosa. Leonardo è considerato un genio senza tempo al di là della perfezione della Gioconda, Michelangelo non avrebbe avuto eguali nella storia anche senza aver donato al mondo la Cappella Sistina. Per questo neanche l’asso di Rio de Janeiro è giudicabile dall’affresco datato 17 ottobre 2004. Sono passati più di 12 anni. Ai tempi San Siro andava in visibilio per la doppietta di un giovane brasiliano che sembrava capace di emulare le gesta di Ronaldo, saltando avversari come birilli. Lo chiamavano già ‘imperatore’, a 23 anni o poco più. E dei motivi ci saranno pur stati. Uno, beh, è l’opera d’arte che vi abbiamo regalato sopra.
Questo per noi rimane l’IMPERATORE
Ma Adriano, da buon estro creativo, è stato tanto altro, ha offerto molto di più. Con le maglie di Parma, Fiorentina, e della nazionale verdeoro ha mostrato giocate degne dei migliori giocatori della storia del Sudamerica, se non dell’intero pianeta. Ha entusiasmato come pochi, emozionato come nessuno. Perché oltre alla storia dell’Imperatore calciatore, micidiale contro le retroguardie avversarie, c’è quella dell’Adriano uomo, ma prima ancora ragazzo, bambino. Un essere umano senza difese di fronte ai colpi bassi del destino. Una infanzia segnata dalla povertà, dalla violenza, dalla paura, in un paese passionale quanto crudele. Poi il calcio, la voglia di farcela nonostante tutto e la possibilità di riuscirci, finalmente. Primi passi nel Flamengo, e poi Inter, fortissimamente Inter. Si tingono di nerazzurro forse gli anni migliori della sua carriera, nonché quelli più felici della sua vita. in giro per l’Italia, alla ricerca di fortuna e col gol nel DNA, quasi per caso, quasi per dono naturale. Le parentesi a Parma, a Firenze, e il ritorno a Milano. Poi ancora dolore: la morte del padre, i gol che arrivano a raffica ma insieme i problemi, tanti, troppi, un disturbo depressivo che lascia l’amaro in bocca e il gelo nel cuore.
Ma un Imperatore sa rialzarsi
Adriano ci prova, ma Milano non è più casa sua, l’Italia gli sta stretta. Torna in Brasile con la nazionale, vi rimane per stare vicino alla madre, punto di riferimento per un ragazzo che rischia di andare alla deriva. Nella patria del calcio l’incredibile Hulk ritrova la passione per il pallone, e la serenità. Il Flamengo è il suo primo amore, e il cuore di Adriano è il più grande di tutto l’emisfero australe. Poche lacrime, molti sorrisi, e tanti gol, 19, e un titolo di cannoniere del Brasileirao che sa di sentenza:
L’Imperatore è tornato.
Ma come nelle più belle storie d’amore, Adriano delude, e illude. Illude la Roma, che rimane affascinata dalla classe ritrovata dell’Imperatore, e lo mette sotto contratto. Errore. Guida in stato di ebbrezza, vita agli eccessi, l’occasione sfuma. Sarà una discesa disperata e demoralizzante, nel degrado del talento e nel deperimento dell’ambizione. Adriano dà il peggio di sé, convinto che il meglio in fondo sia già passato, e che i più non lo hanno saputo apprezzare quando avrebbe dovuto. Mai altro pensiero si potrebbe rivelare più menzoniero. Il meglio arriva quando siamo pronti ad accoglierlo, determinati a raggiungerlo.
Oggi quel ragazzo brasiliano di belle speranze compie 35 anni. alcuni propositi sono stati ampiamente raggiunti, altri si sono persi per strada. Come per i più grandi. E se ancora oggi, nonostante tutto, lo chiamano imperatore, un motivo ci sarà. Auguri Adri !