Ho sempre amato il calcio, sin da piccolino. Mia madre mi costrinse a praticare per anni il nuoto, perché “era uno sport più completo”. Ricordo ancora il mio tredicesimo compleanno, quando trovai finalmente il coraggio di impormi sulla severità dei miei genitori e li convinsi a iscrivermi finalmente a calcio.
Non vedevo l’ora di cominciare.
La notte che precedeva il mio primo allenamento la passai sveglio dall’emozione.
Ero carico, prontissimo.
Il giorno dopo arrivai in campo, mi presentai al mister e alla squadra e subito iniziò la mia prima partitella.
Fu un completo disastro. Non toccai un pallone. Quelle poche volte che ebbi la palla al piede, la persi.
“Fa niente” mi dissi “è solo una giornata sfortunata”.
Invece non era affatto così. I miei compagni giocavano a calcio da anni, avevano tecnica, mentalità e condizione atletica. Caratteristiche a me completamente estranee.
Mi allenai duramente per giorni, settimane, mesi. Tuttavia più passava il tempo, più capivo che forse avevo iniziato troppo tardi.
Inoltre l’ambiente non mi piaceva poi troppo. Genitori incazzatissimi, volgarissimi, che offendevano i propri figli con cattiveria al minimo errore. Alle partite c’era tutto, fuorché il divertimento.
Così, dopo due anni, mollai il calcio.
Sapevo però che quello sport poteva darmi ancora molto, così un giorno provai a organizzare una partita di calcetto con qualche amico.
Mi si aprì un mondo.
Avevo due mattoni al posto dei piedi, ma il ruolo di centrale di difesa divenne mio di diritto. Giocavo ogni settimana. Niente spettatori che sputavano offese gratuite, eravamo solamente amici che si divertivano. Nessuna ansia da prestazione, solo voglia di realizzare qualche gol incredibile per poi vantarsi per il resto della settimana.
Perché a calcetto chiunque aveva la possibilità di essere l’eroe del giorno. Una scivolata, un intervento miracoloso, un gol sotto l’incrocio da centrocampo.
Anche il più scarso poteva diventare fenomeno.
Non è forse questa la magia del calcio?
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