Se vieni dall’Olanda e giochi a calcio, anzi se giochi nell’Ajax e fai il centravanti, ecco che il paragone con uno dei mostri sacri del calcio, Johan Cruijff, scatta automatico. Se poi hai avuto il privilegio di giocarci insieme, anche per poche partite, ecco che si rischia di essere sovrastati dal peso soverchiante dei paragoni.
Una storia la sua, tanto bella ed intensa quanto infinitamente breve, a causa di una “maledetta” caviglia che, come per un assurdo paradosso, lo ha tormentato per tutta la sua carriera. La caviglia, quello che era il suo strumento di lavoro, lo ha tradito… una maledetta cartilagine che forse gli ha fatto trascorrere più tempo sotto i ferri e nelle cliniche che dietro ad un pallone su un rettangolo di gioco, a fare a sportellate con gli avversari.
Ogni gol era un capolavoro, ogni giocata somigliava ad una pennellata di Vincent Van Gogh. Questo forse è il Marco Van Basten che tutti noi ricordiamo. In pochi però sanno che il vero nome di Van Basten non è Marco, ma Marcel. I genitori sin da piccolo lo iniziano a chiamare Marco, un po’ come diminutivo del nome di battesimo, un po’ perché… chissà, forse era nel suo destino. Quel nome pronunciato all’italiana voleva far presagire già allora un forte legame con la Nazione che l’avrebbe amato più di ogni altra e dove avrebbe fatto le fortune del Milan tra il 1987 e il 1993. Marco (da ora in poi lo chiameremo così) comincia a giocare a calcio sin da piccolo, d’altronde non ci vuole poi tanto a capire che sarebbe stato per lui tanto facile imporsi.
L’inizio in Olanda tra Feyenord e Ajax
Quando Marco compie 12 anni, l’allora allenatore del Feyenoord, Leo Beenhakker, viene invitato a vedere una sua partita. Il tecnico ne rimane abbagliato. Se ne innamora subito e vorrebbe portarlo via con sé immediatamente dopo la partita, ma non ci riesce. Papà Joop, ben sapendo come in questo mondo basti un attimo per bruciarsi, preferisce fare crescere il piccolo Marco in tranquillità. Crescere solo dal punto di vista calcistico, perché il ragazzo fino all’adolescenza è molto più basso rispetto alla media dei suoi coetanei. Prima dell’estate dei suoi sedici anni infatti Marco è alto appena 1,68 e per questo qualche altro osservatore lo ha notato perché fortissimo tecnicamente, ma scartato perché un po’ troppo gracilino fisicamente.
Bello da vedersi e da ammirare in ogni sua giocata, proprio come un tulipano colorato, elegante, a volte algido e quasi “superbo” come un cigno, consapevole della propria bellezza e grazia nei movimenti. Baricentro basso, una padronanza di palleggio incredibile, visione di gioco e fantasia tipica del trequartista, queste le sue caratteristiche. Ed infatti nelle giovanili dell’Ajax, dove nel frattempo è stato preso, inizia a giocare dietro le punte. Se non che, come per “magia” nell’estate dei suoi sedici anni, cresce in altezza di ben venti centimetri, arrivando a sfiorare il metro e novanta: a questo punto la maturazione è completa. Pur conservando le proprietà tecniche tipiche del fantasista, Marco è sbocciato e ora il fisico è diventato quello del vero attaccante. Pronto per diventare il centravanti più forte dell’epoca a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 e forse quello più forte di tutti i tempi.
Il 3 aprile 1982 fa il suo esordio in Eredivisie contro il NEC Nijmegen e a fargli spazio è proprio un certo Johan Cruijff, ormai a fine carriera. Un segno del destino, un’investitura ufficiale… quella resterà per sempre l’immagine simbolo del passaggio di consegne tra il “vecchio” Cruijff ed il “nuovo” Van Basten. Due mostri sacri del calcio mondiale e forse i due giocatori più grandi che l’Olanda abbia mai avuto. Marco non sente l’emozione e va subito in gol all’esordio… niente male per un novellino. Di lì in poi, si “prenderà” l’Ajax e nel giro di tre stagioni vincerà tre volte il titolo di Capocannoniere, il titolo di Campione d’Olanda e la Scarpa d’Oro.
Il 1986 sarà per lui una stagione difficile, prima l’epatite virale, poi un tremendo infortunio alla caviglia – già la caviglia, quella “maledetta” caviglia – lo tengono tanto tempo in infermeria. Non vuole operarsi, non ce la fa a vedere i suoi compagni in campo e lui nel letto di un ospedale, Marco vuole giocare, anche con una gamba sola, vuole andare in campo e “spaccare il mondo”. Ma la caviglia fa male… troppo male, non si può. Bisogna operare. Ed è lì che i medici scoprono che qualcosa non va. L’osso della caviglia non è calcificato… il tessuto è cartilagineo, Marco non potrebbe giocare o rischierebbe di farsi male sul serio. Lui non accetta ragioni, non c’è referto medico che tenga e tre mesi dopo è di nuovo in campo e nella Finale di Coppa delle Coppe contro il Lipsia (1-0) segna il gol decisivo e porta un nuovo trofeo ai lancieri.
L’approdo alla corte del Milan
Intanto in Italia, a Milano, a tantissimi chilometri di distanza da Amsterdam, sta accadendo qualcosa che si rivelerà fondamentale per Van Basten e per la sua carriera. Un noto imprenditore/editore milanese, Silvio Berlusconi, acquista l’AC Milan. Il nuovo Presidente è un tipo molto ambizioso e vuole riportare i rossoneri ai vertici del panorama calcistico europeo e mondiale. Per farlo bisogna comprare un attaccante di livello internazionale. Si narra che durante la visione di una videocassetta di una partita tra Liverpool e Ajax, Berlusconi doveva visionare l’attaccante gallese Ian Rush, centravanti molto in voga in quegli anni; durante la visione della cassetta, il nuovo Presidente venne però abbagliato dall’eleganza e dalla concretezza di questo giovane ragazzo olandese e dà ordine ai suoi collaboratori di lasciar perdere Rush (che poi sarebbe arrivato comunque in Italia, alla Juventus) e di chiedere immediatamente informazioni su questo Van Basten. Era praticamente fatta, il “Cigno di Utrecht” approda sui Navigli, sponda rossonera.
Dopo l’esordio in Coppa Italia contro il Bari, ecco che inizia la stagione 1987-1988 e in Campionato il Milan è di scena a Pisa. Sulla panchina dei diavoli è stato ingaggiato un semisconosciuto tecnico proveniente dal Parma, in Serie B, il suo nome è Arrigo Sacchi. Tecnico che rivoluzionerà poi il modo di concepire il calcio in Italia e non solo, ma questa è un’altra storia. Sul 2-1 in favore dei rossoneri, Roberto Donadoni entra in area palla al piede e viene atterrato, rigore. Van Basten è l’ultimo arrivato ma con la personalità del veterano si va a prendere il pallone. Il tempo di guardare negli occhi il portiere pisano Alessandro Nista, compiere il tipico “saltino” prima delle rincorsa e il gioco è fatto, fredda con una rasoiata Nista. Ma no, l’arbitro non convalida perché c’è troppa gente in area, rigore da ripetere. Allora Van Basten, algido, freddo e distaccato (proprio come un cigno) ripete tutti i movimenti di prima, tiro e gol. Questa volta è valido. Da quella prima rete con la maglia del Milan, ne seguiranno innumerevoli altre. Sembra l’inizio di una cavalcata trionfale ed invece la caviglia, la “maledetta” caviglia, torna a perseguitarlo.
Contro l’Espanyol (gara di Coppa Uefa) nel mese di ottobre, il tulipano appassisce… ancora una volta Marco si deve fermare. Ancora una nuova operazione da affrontare, ancora medici, ospedali, cliniche specialistiche e sofferenza. Il Milan accusa il colpo… il Napoli di Maradona vola in Campionato e sembra non avere rivali per la vittoria dello Scudetto. Marco trascorre mesi fuori a guardare i suoi compagni di squadra. Che sofferenza atroce, per lui e per i tifosi rossoneri. Passano sei mesi di inferno, fino a quando finalmente, ad aprile, nella gara di San Siro contro l’Empoli, Arrigo Sacchi decide che è giunto il momento: Van Basten entra nel secondo tempo riceve palla ai venti metri, finta a sbilanciare un difensore, rasoiata nell’angolo più lontano… GOL! Il Milan vince. Quanto sembrano lontani i mesi trascorsi a lottare e a sudare in completa solitudine, quanto dura è stata questa ennesima salita, ma Marco è tornato e si vede.
Il Milan accorcia in classifica e il 1° maggio 1988 va al San Paolo con un solo punto in meno rispetto al Napoli capolista. E’ la partita che decide le sorti del Campionato (anche se di lì in poi ne mancano ancora due). Stadio gremito di tifosi azzurri e piccola fetta di sostenitori rossoneri. Il Milan passa in vantaggio con Pietro Paolo Virdis, ma Maradona pareggia prima della fine del tempo con una perla balistica di rara bellezza su punizione. Si va al riposo sull’1-1. Il pareggio non basta, il Milan deve vincere, Virdis fa 1-2 su cross di Ruud Gullit, ma il Napoli c’è ancora. Gli azzurri attaccano a testa bassa, i ragazzi di Sacchi vanno via in contropiede. Gullit fa ottanta metri palla al piede seminando gli avversari come birilli, palla nel mezzo dove c’è Van Basten che di piatto appoggia in fondo al sacco, 1-3. E’ il gol che vale lo Scudetto (anche se poi nel finale Antônio Careca accorcerà per il 2-3 finale). L’olandese venuto dall’Ajax oltre che bello è anche vincente. Ha fatto centro al primo colpo diventando Campione d’Italia.
Ma la stagione di Van Basten non è finita, in Germania in estate ci sono gli Europei da affrontare con la Nazionale olandese. Uno dopo l’altro, gli oranges saltano tutti gli ostacoli. Van Basten prima sigla una tripletta contro l’Inghilterra (3-1) e poi si rende protagonista assoluto nella Finale contro l’URSS. E’ il suo compagno di squadra, Gullit, a siglare il gol del vantaggio dei tulipani, ma il capolavoro deve ancora materializzarsi. Nel secondo tempo, un cross dalla sinistra raggiunge l’area di rigore dove c’è proprio lui che al volo, da posizione impossibile, incrocia il pallone nell’angolino opposto. La traiettoria della sfera è un arcobaleno colorato che va a morire dentro la rete sovietica, per uno dei gol più belli mai realizzati nella storia del calcio. L’Olanda è Campione d’Europa e Van Basten è il suo Re.
Vince la Coppa dei Campioni nell’’89 e nel ’90 contro lo Steaua Bucureşti e il Benfica, due Supercoppe Europee contro Barcellona e Sampdoria, due Coppe Intercontinentali battendo il Medellín e l’Olimpia Asunción. Al termine del 1991 si avverte che qualcosa è cambiato, i rapporti con il suo allenatore sono diventati freddi, e i due vengono ai ferri corti. Lui vorrebbe un atteggiamento privilegiato, diverso dai suoi compagni e non lo manda dire ad Arrigo Sacchi: “Mister perché lei mi tratta come gli altri?”… questa frase pronunciata al tecnico romagnolo, lo manda su tutte le furie. Sacchi ha una concezione del calcio che porta a privilegiare il collettivo, dando poco spazio alle iniziative individuali. Il genio e la sregolatezza non vengono contemplati nel suo verbo calcistico e proprio uno come Van Basten, al di sopra della media, proprio lui che aveva costruito le fortune sue e del Milan gli stava “voltando le spalle” chiedendo meno rigore e disciplina tattica. I due a turno vanno dal Presidente Berlusconi a proporre un aut aut. Uno dei due è di troppo ormai, e la società rossonera si vede costretta a scegliere. L’attaccante olandese rimane al suo posto, mentre Sacchi va via… ad allenare la Nazionale. Sulla panchina milanista viene ingaggiato Fabio Capello, un sergente di ferro ma che capisce che proprio l’asso olandese è un valore aggiunto della sua squadra e se lo coccola come un figlio, affidandogli il “peso” della responsabilità. Marco ripaga la fiducia del nuovo allenatore con 25 gol in Campionato.
Reti che a fine anno varranno di nuovo il titolo di Campione d’Italia al Milan. La stagione ’92-’93 comincia nuovamente nel segno dell’olandese: sono 12 le reti messe a segno nelle prime 11 giornate. L’8 novembre 1992 Marco compie l’ennesima impresa della sua carriera: nel 5-1 inflitto al San Paolo contro il Napoli, mette a segno quattro reti, battendo per quattro volte il suo ex compagno di squadra e di trionfi Giovanni Galli.
Nessuno come lui prima di allora, stessa cosa anche in Champions League: sempre nel mese di novembre il Milan riceve il Göteborg; non è sicuramente una partita di cartello, ma ancora una volta Van Basten decide che quello sarà un match che dovrà rimanere impresso per sempre: tra il primo e il secondo tempo batte per ben quattro volte il glorioso portiere Thomas Ravelli e, per la prima volta nella storia della Champions, un solo giocatore firma quattro gol nella stessa partita.
Un’altra perla (anzi quattro) nella sua infinita collana, e il mese successivo gli viene consegnato il terzo Pallone d’Oro della sua carriera. Record fino a quel momento detenuto da gente come Cruijff e Platini. Ma siccome si fa presto a cadere dall’altare alla polvere, ecco che pronta, maligna ed inesorabile arriva la “maledetta” caviglia a fare di nuovo male. Pochi giorni dopo la consegna del Pallone d’Oro, Marco è costretto a ritornare sotto i ferri. Ancora tanti mesi di rieducazione e di sofferenza, non solo fisica. Il Milan risente della sua assenza e dopo aver staccato l’Inter in Campionato, ora rischia di essere riacciuffato. Passano quattro mesi dal lungo stop, ma Van Basten grazie alla sua tenacia e alla sua determinazione torna in campo nelle ultime giornate di Campionato, contro l’Udinese la prima. La settimana successiva il Milan vince ad Ancona per 3-1 e finalmente Van Basten segna un gol di testa. Rete che poi risulterà essere l’ultima della sua carriera; in porta quel pomeriggio c’è Alessandro Nista… lo stesso portiere che subì il primo gol del “Cigno di Utrecht” in Italia. Il destino si è compiuto, il cerchio si è chiuso. Sarà stata la fatalità, un caso… comunque sia quella sarebbe stata l’ultima gioia per il nostro eroe. L’ultima volta in cui ha lasciato il segno, l’ultima volta in cui lo si è visto sommerso dall’abbraccio dei compagni.
Ma questo, Marco, ancora non lo sa… c’è ancora un appuntamento a cui non vuole mancare. C’è l’ennesima Finale di Champions da giocare… a Monaco di Baviera, in quella stessa città dove solo cinque anni prima aveva trionfato con l’Olanda vincendo l’Europeo. Contro l’Olympique Marsiglia, quella stessa squadra contro la quale il Milan due anni prima era uscito in semifinale, eliminato dopo aver abbandonato il campo a causa del black out dell’impianto di illuminazione. Se il destino ha tolto, il destino regala la possibilità di rivincita. Marco Van Basten lo sa bene e anche se non al top, vuole giocare dal primo minuto. Alla vigilia della partita afferma: “Sono al 60%”… mente; non è nemmeno al 30%, ma da vero condottiero lotta su ogni pallone, si butta in tutti i contrasti.
A fine primo tempo un colpo di testa di Basile Boli batte Sebastiano Rossi e per il Milan è una mazzata. Nel secondo tempo le gambe non ci sono più, ma la personalità non manca e a metà ripresa su una palla vagante, Marco si avventa come ai tempi belli, si gira e calcia, ma Fabien Barthez ci mette una pezza proprio con la punta delle dita. E’ in pratica la sua resa… tanto più che i ruvidi difensori marsigliesi non risparmiano entrate assassine sulla caviglia già martoriata, quella “maledetta” caviglia, che finisce per cedere.
Marco lo sa che è la fine… è il suo “canto del Cigno” ma non ci sta. Capello lo chiama in panchina, sta per entrare Stefano Eranio… lui fa finta di non vedere, di non sentire… poi si gira e dice: “Mister, la prego, aspetti… altri 5 minuti”. Ma ormai il destino è compiuto, la Coppa va al Marsiglia, Marco sprofonda nella tristezza più cupa e con lui tutti i tifosi milanisti.
Pochi giorni dopo, ancora un intervento alla caviglia, il quarto della sua carriera che questa volta lo costringe e stare fermo per un anno e mezzo. Nell’agosto del 1995 sembra ritornata la luce nei suoi occhi, si aggrega ai compagni al raduno precampionato. Sembra un nuovo inizio… sembra. Ed invece è l’inizio della fine. Dopo pochissimi giorni, decide che non è più il caso di continuare.
Il 18 agosto convoca una conferenza stampa in cui dichiara ufficialmente:
“La notizia è breve… semplicemente ho deciso di smettere di fare il calciatore”…
Un refilo gelido percorre la schiena di tutti i giornalisti presenti e di tutti i tifosi davanti alla tv. Incredulità, stupore, sconcerto e tanta tristezza. Il “Cigno di Utrecht” non avrebbe mai più riaperto le sue ali, il Van Gogh del calcio non avrebbe più dipinto le “sue tele”… il calcio avrebbe perso così il suo Campione. Il tulipano si era ormai appassito, sotto il peso della sua “maledizione”… il peso di quella “maledetta” caviglia.