“Quando ho smesso di giocare a calcio ho sofferto moltissimo. Non riuscivo a camminare e per un mese, pur avendo il bagno a 10 metri, urinavo a letto perché non avevo la forza di alzarmi, così chiesi al mio medico di amputarmi le gambe, non ce la facevo più.”
E’ stato per anni leader e trascinatore, guida e capitano, bomber e condottiero, nella squadra che da quelle parti i tifosi amano più della propria donna, la Fiorentina. Passo dopo passo ha scalato le gerarchie dei più grandi, e oggi può considerarsi una vera e propria leggenda viola al pari di Hamrin, Antognoni e Rui Costa, oltre che uno dei centravanti più forti della storia. Inizia tutto con una scommessa. Il procuratore Settimìo Aloisio lanciò una sfida al suo giovane talento: «Tra una settimana inizia la Copa America, se vuoi andare a giocare in Italia devi segnare almeno sei gol. Fallo e io ti regalo il tuo sogno”. Aloisio stava parlando a Gabriel Omar Batistuta, quello che poi sarà il più prolifico attaccante della storia della nazionale Albiceleste e il secondo della storia viola (dietro di un solo gol ad Hamrin). Debutta con il Newell’s, dove conoscerà Marcelo Bielsa. Una figura che avrà un ruolo decisivo nella sua carriera. “El Loco” Bielsa è uno che si fa sentire, è un duro. «Dopo venti giorni d’allenamento una volta rientrando negli spogliatoi pensai che per colpa sua non avrei fatto il calciatore. Invece fu l’esatto contrario.» In campo “El Loco” lo massacra di lavoro, fuori dal campo gli impone una dieta ferrea. La ricetta funziona. Batistuta comincia a trasformarsi. E Bielsa, un giorno, si presenta nella sua camera con dei biscotti, come a dire: “Ok Gabri, il primo esame lo hai superato”. Nel Newell’s segna a raffica, e le sirene dei grandi club chiamano. Così Bati rompe gli indugi, riempie la valigia e riparte: destinazione Buenos Aires. A scommettere su di lui è il River Plate. L’allenatore Merlo gli concede fiducia e Gabriel lo ripaga con un campionato importante. Ma dopo pochi mesi cambia tutto. Daniel Passarella diventa l’allenatore del River e, nel primo allenamento, nel gennaio del ’90, Bati si ritrova subito tra le riserve. Messo fuori senza un perché. “Una ferita che non si è mai rimarginata”. Dirà a proposito di quel periodo. Il divorzio è inevitabile. Un gioco di prestigio del suo procuratore Settimio Aloisio (che acquista la metà del suo cartellino) permette a Batigol di trasferirsi nel Boca, la storica rivale del River. Dall’inferno, al paradiso. L’anno andrà alla grande. Batigol segnerà una storica doppietta in Coppa Libertadores al Monumental contro il suo vecchio River, e dopo ogni rete Bati passa davanti alla panchina avversaria guardando fisso negli occhi il suo “nemico” Passarella. Una dolce vendetta, quello che aveva sognato si era avverato. Ma torniamo all’inizio della storia, alla scommessa con Aloisio.
La Seleccion di Basile arrivava in Cile non da favorita e Bati conquista a sorpresa un posto tra i titolari. Due gol al debutto contro il Venezuela poi la sfida contro i padroni di casa. Una guerra. Ma Gabriel non è tipo che si spaventa. Anzi. A dieci minuti dalla fine realizza il gol decisivo. Bati va a segno anche contro il Paraguay e contro il Brasile: e siamo a cinque. L’ultima partita del girone finale è contro la Colombia. L’Argentina vince 2 a 1 e Bati realizza il gol decisivo. Sei centri e la Coppa America alzata al cielo. la sfida è vinta. Settimio Aloisio se la ride, perché l’aveva già venduto giorni prima alla Fiorentina della famiglia Cecchi Gori all’insaputa di Bati. “Sapevo già come andava a finire.” Dirà poi il procuratore. La leggenda può cominciare. L’inizio però è faticoso, poiché non riesce a guadagnarsi un posto da titolare. L’allenatore è il brasiliano Lazaroni e il leader della squadra è un altro brasiliano, Carlos Dunga e si sa, tra argentini e brasiliani, non scorre buon sangue. Dopo cinque giornate di campionato salta Lazaroni e arriva Radice. Ma per Bati la situazione non cambia di molto. Riserva era prima, riserva resta. Poi arriva la svolta. Il 26 febbraio 1992 sbarca allo stadio Franchi la Juve. Per i tifosi viola è “la partita». Bati va a segno con un colpo di testa. È la fine di un incubo. Gabriel segna a raffica. Chiuderà con 13 centri. Si riparte e il presidente Mario Cecchì Gori fa le cose in grande. Arrivano Baiano, Brian Laudrup, Effenberg. La squadra viola sogna di inserirsi in zona scudetto invece sprofonda in serie B. La società cambia ben tre allenatori. Ma va sempre peggio. Bati chiude il torneo con 16 reti. Cifre importanti. Tutto inutile. Gabriel viene corteggiato dal Real Madrid, ma lui è uno che non fugge.
«C’era un’immagine che dovevo cancellare dai mìei occhi: il vecchio presidente Mario Cecchi Gori costretto a lasciare lo stadio dentro un furgone della polizia. Volevo troppo bene al presidente. Aveva investito nella Fiorentina tanti soldi e tanta passione. Non potevo lasciare la squadra in serie B».
Bati decide di restare. In panchina arriva Ranieri che lega subito con il fuoriclasse argentino. La promozione arriva con Fiorentina-Ascoli 5-1, due gol di Gabriel. La promessa è mantenuta: Bati ha riportato la squadra in serie A e il primo pensiero è per Mario Cecchi Gori, scomparso a novembre per un attacco cardiaco. «Voleva bene alla Fiorentina e non doveva morire con la sua squadra in serie B. La vita, a volte, è ingiusta». Prende in mano la Fiorentina il figlio Vittorio, che dopo annate di folle gestione condite anche da stagioni esaltanti come il terzo posto con Trapattoni, dopo aver chiuso il girone d’andata in testa, porterà la Fiorentina ad un triste fallimento. Il Re Leone in questi anni darà il meglio di sé, segnando caterve di gol e portando la Viola a risultati prestigiosi in Europa con Barcellona, Arsenal e Manchester United, ma purtroppo il declino del club è ormai prossimo. Bati viene venduto alla Roma per la cifra incredibile di 70 miliardi. Il Re Leone nella capitale crea subito un feeling perfetto con Totti. Il braccio e la mente. Il campione di Reconquista segna 20 reti e la Roma conquista il suo terzo scudetto. Bati è entrato a pieno titolo nella storia del calcio italiano. All’Olimpico il Re Leone sente di aver chiuso un ciclo come lui aveva sognato. Da ragazzino sconosciuto, a uno dei più forti calciatori del mondo. Le sue caviglie martoriate però lo portano a lasciare Roma a 33 anni. Finirà in Qatar, dopo una breve parentesi all’Inter, una carriera forse con pochi titoli, ma con tanti gol e tanta fama. In nazionale vincerà due Coppe America e una Confederations Cup, ed è a tutt’oggi, il miglior marcatore dell’Argentina con 56 reti, davanti a nientemeno che Maradona, che del suo amico Bati dirà:
“Il Biondo è un grande. E’ un animale, un animale che, come dico sempre, grazie a Dio è argentino. Pensa che se non avessimo fatto il putiferio che abbiamo fatto tutti noi che lo volevamo, Quel loco di Passarella non l’avrebbe neanche portato ai Mondiali.”
Un giocatore pazzesco, amato da tutti e diventato leggenda a Firenze. Nel 2000, in occasione di una vittoria della Roma contro la “sua” Fiorentina, dopo aver segnato il gol della vittoria non esulta, scoppiando poi in lacrime mentre riceveva gli abbracci dei compagni, a dimostrazione che oltre che ad un grande campione, eravamo di fronte ad un grande uomo: Gabriel Omar…Batigol.
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