Era il 13 maggio 1990 quando allo stadio Maksimir della Dinamo Zagabria arrivarono a giocare i nemici storici serbi della Stella Rossa. Guidati dalla Tigre Arkan, i tifosi serbi misero a ferro e fuoco Zagabria prima del match. La guerra in Jugoslavia era imminente, e purtroppo a risentirne ne fu anche il tanto amato calcio. La partita non iniziò neanche: sugli spalti successe di tutto, la situazione assunse dimensioni drammatiche e la polizia (in prevalenza serbi e bosniaci) intervenne sul rettangolo di gioco per fermare gli invasori.
Qui accade l’impensabile: un poliziotto bosniaco getta a terra un tifoso della Dinamo e comincia a manganellarlo con una violenza inaudita. Fu allora che “Zorro” si buttò in difesa del tifoso sferrando un calcio al poliziotto. Si scatena così una vera e propria rivolta, che si esaurirà soltanto a notte fonda. Boban rischiò l’arresto e venne sospeso per sei mesi dalla federazione, perdendo la possibilità di partecipare ai Mondiali del 1990 in Italia.
“Ho reagito ad una grande ingiustizia, non potevo rimanere fermo. Lo rifarei mille e mille volte ancora…”
Zvone scelse di intervenire, rischiando di perdere tutto, carriera compresa, in nome di un ideale, invece che restare a guardare. Ed è proprio per il suo coraggio che divenne un eroe per il popolo croato.
Fortunatamente quell’episodio non compromise la sua carriera: venne poi acquistato dal Milan di Capello per 10 miliardi di lire, non certo bruscolini a quei tempi. Dopo esser stato parcheggiato per un anno a Bari, fa ritorno al Milan dove all’inizio giocherà stranamente solo in Champions League, guadagnandosi l’appellativo di “Uomo di Coppa“.
“Tornato al Milan, per i primi tempi giocai solamente in Champions. A quei tempi le italiane erano talmente superiori rispetto alle altre squadre europee, che valeva più vincere la serie A che la Champions. La Champions che veniva snobbata allora quasi quanto ora viene snobbata la Coppa Italia.”
Con i rossoneri vincerà 4 scudetti, 2 supercoppe italiane, una Coppa Campioni e una supercoppa europea e il giorno del suo addio al popolo rossonero, lo “spadaccino croato” ricevette dai tifosi un’ovazione che fino ad allora era stata riservata solo a Franco Baresi e Marco Van Basten. Un privilegio per pochi eletti, a dimostrazione di come in quegli anni fosse diventato un idolo per i tifosi rossoneri, che intravidero in lui le doti di leader e guerriero mai domo.
“Un leader silenzioso in campo che faceva parlare i piedi”
Parola di Don Fabio Capello.
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