Il calcio. Tutto ruota intorno al calcio: soldi, successo, ragazze, popolarità. Di questo mondo fanno parte tanti maschi, parecchi ragazzi e pochi uomini. Nell’immaginario collettivo si fa fatica a vedere un calciatore come un essere umano e invece anche loro appartengono al nostro stesso Mondo…
Anche loro hanno dei problemi, anche loro soffrono e anche loro si trovano di fronte a delle prove che mai vorrebbero affrontare. Ci sono calciatori diventati uomini e uomini diventati calciatori.
Il 1° maggio di 29 anni fa, a Viterbo nacque un bambino, diventato presto uomo. Non è un giorno come tanti, è il 1° maggio. Il 1° maggio di solito ci si riposa e si pensa a quanto sia difficile la vita. Se nasci il 1° maggio devi essere un lavoratore, un grande lavoratore. Uno che ha voglia di arrivare, uno partito dal basso con l’obiettivo di arrivare in alto. In un rettangolo verde tante cose possono essere fraintese e mal interpretate, un cattivo può sembrare buono o viceversa. “Leo” è un calciatore della Juventus e come molti suoi compagni, ai più resta antipatico per la maglia che indossa e per la serietà e la competitività che mostra in ogni partita. Una cosa è il calcio, un’altra l’essere umano. Un uomo può sentirsi forte, invincibile, invulnerabile, però nella vita di tutti arriva quel momento in cui ti senti spalle al muro. Quel momento in cui vedi il mondo crollare sopra di te e tu puoi solo provare a spostarti un po’ più in là, e pregare che tutto ciò non ti coinvolga. Tutti purtroppo passano questi momenti: c’è chi li passa in giovane età, chi dopo aver vissuto quasi un secolo e chi da star del calcio. Tutti li passano, ma pochi si rialzano. Una cosa è il calcio, un’altra è la famiglia. Due cose distanti ma così vicine. “Leo” ha sofferto, si è allontanato dai riflettori nel momento difficile, ed è tornato. E’ tornato da vincitore dopo aver sconfitto insieme al suo piccolo eroe, l’avversario più difficile. “Matteo Marco Bonucci”, questo è un nome che di per sé fa già pensare ad un eroe. Due nomi, Matteo e Marco uniti ad un cognome importante, altisonante. Un cognome che ti obbliga a combattere, FINO ALLA FINE. Il piccolo Matteo non ha nemmeno 3 anni, ed ha già affrontato tante vicissitudini. Troppe! Vicissitudini che normalmente non accadono nemmeno nell’arco di una vita intera. A 3 anni un bambino, dovrebbe solo pensare a giocare e non a lottare ogni giorno contro dei mostri cattivi, che vogliono portarti lontano da mamma e papà.
Il 1° maggio di 29 anni fa, a Viterbo nacque un bambino, diventato presto uomo. Non è un giorno come tanti, è il 1° maggio. Il 1° maggio di solito ci si riposa e si pensa a quanto sia difficile la vita. Se nasci il 1° maggio devi essere un lavoratore, un grande lavoratore. Uno che ha voglia di arrivare, uno partito dal basso con l’obiettivo di arrivare in alto. In un rettangolo verde tante cose possono essere fraintese e mal interpretate, un cattivo può sembrare buono o viceversa. “Leo” è un calciatore della Juventus e come molti suoi compagni, ai più resta antipatico per la maglia che indossa e per la serietà e la competitività che mostra in ogni partita. Una cosa è il calcio, un’altra l’essere umano. Un uomo può sentirsi forte, invincibile, invulnerabile, però nella vita di tutti arriva quel momento in cui ti senti spalle al muro. Quel momento in cui vedi il mondo crollare sopra di te e tu puoi solo provare a spostarti un po’ più in là, e pregare che tutto ciò non ti coinvolga. Tutti purtroppo passano questi momenti: c’è chi li passa in giovane età, chi dopo aver vissuto quasi un secolo e chi da star del calcio. Tutti li passano, ma pochi si rialzano. Una cosa è il calcio, un’altra è la famiglia. Due cose distanti ma così vicine. “Leo” ha sofferto, si è allontanato dai riflettori nel momento difficile, ed è tornato. E’ tornato da vincitore dopo aver sconfitto insieme al suo piccolo eroe, l’avversario più difficile. “Matteo Marco Bonucci”, questo è un nome che di per sé fa già pensare ad un eroe. Due nomi, Matteo e Marco uniti ad un cognome importante, altisonante. Un cognome che ti obbliga a combattere, FINO ALLA FINE. Il piccolo Matteo non ha nemmeno 3 anni, ed ha già affrontato tante vicissitudini. Troppe! Vicissitudini che normalmente non accadono nemmeno nell’arco di una vita intera. A 3 anni un bambino, dovrebbe solo pensare a giocare e non a lottare ogni giorno contro dei mostri cattivi, che vogliono portarti lontano da mamma e papà.
Uomini si diventa più o meno quando si intuisce il reale valore della vita. Quando i sogni finiti in un cassetto lasciano spazio alla realtà. Matteo il suo sogno più grande lo ha già realizzato: restare ancora con il suo “babbo” e con la mamma Martina. Ora si spera che per lui inizi un’altra vita, fatta di aspirazioni e successi, magari proprio come quelli del “babbo”. Si perché dietro a un grande figlio, c’è sempre un grande papà. I papà sono i primi supereroi dei loro bambini, se poi questi papà fanno il mestiere più bello del mondo, lo sono ancor di più. Molte volte si danno troppe cose per scontate: calciatore= felicità. Una cosa apparentemente ovvia, quanto irreale. Prima di arrivare lì ne devi sputare di sangue, ne devi mangiare di fango, ne devi buttare di sudore. E una volta arrivato lì, non è detto che sia tutto rose e fiori, perché la vita è come una corsa a ostacoli e più si va avanti, più l’asticella si alza. Le cose brutte capitano a tutti e non saranno 5 milioni all’anno ad allontanarle. Molte cose non hanno un valore, una su tutte è la vita e questo “Leo” lo ha capito, anche se probabilmente lo sapeva già. Il pensiero di lasciare il calcio è stato vivo in lui, ma poi chi lo andava a spiegare a Matteo, che il suo idolo aveva smesso di sciacquarsi la bocca? “Leo” ce l’ha fatta, ha resistito e con lui anche la sua famiglia. “Leo” non ha bisogno dei soldi del City per sentirsi importante, perché lui il suo trofeo più prestigioso, ce l’ha in casa e può ammirarlo ogni giorno. Quel trofeo lo tirerà su dopo una sconfitta e non lo farà gioire troppo dopo una vittoria, perché quel trofeo gli ricorderà cosa conta e cosa no. Quel trofeo di nome Matteo ora vuole finalmente vivere come un bambino normale e saltare dal divano con il sorriso, dopo un gol del suo “babbo”. Quel “babbo” che dopo ogni rete, mostrerà a tutto il mondo le lettere della sua famiglia: L e M. Tanti gol pesanti, tante sciacquate di bocca, eppure la sua vittoria più bella è stata un’altra. Una vittoria di squadra, di famiglia, di gruppo. Una vittoria in grado di sensibilizzare una nazione intera. Una vittoria fondamentale e dal gusto unico, perché VINCERE NON È IMPORTANTE, È L’UNICA COSA CHE CONTA!