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Ma che fine ha fatto Aristoteles

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Ma che fine ha fatto Aristoteles? Anni 80, in panchina Lino Banfi per un successo cinematografico incredibile.

Il “ma che fine ha fatto” di oggi è un po’ fuori dagli schemi. Però, per chi ama davvero il calcio, questo simpatico e nostalgico ragazzo è stato a tutti gli effetti uno dei migliori calciatori degli anni 80. Uno di quelli che ci hanno fatto sognare. Perché tutti noi abbiamo sognato almeno una volta di entrare in campo e ribaltare una sconfitta. O di trascinare la nostra squadra del cuore alla vittoria del campionato o alla salvezza, come nel suo caso. Ma che fine ha fatto questo splendido giocatore esploso in giovane età?

Apriamo prima una doverosa parentesi, perché molti si chiederanno anche che fine ha fatto l’attore che lo ha interpretato. Urs Althaus di Brasiliano non aveva proprio nulla. Nato in Svizzera da padre Nigeriano (mai conosciuto) e madre Svizzera, si è ben presto distinto come modello e indossatore, diventando nel 1977 il primo modello di colore a comparire sulla copertina di GQ versione americana. La carriera cinematografica comincia quando finisce quella da modello. Non partecipa a film di grande spessore, ma nel 1984 conosce la gloria con due film italiani: Arrapaho e soprattutto L’allenatore nel Pallone. In seguito, sempre con Lino Banfi, parteciperà alla serie tv Un medico in famiglia.

Nel corso della sua esistenza subisce numerosi episodi di razzismo e in un paio di occasioni anche aggressioni.

Per questo motivo scrive un libro, autobiografico, dal titolo Io, Aristoteles, il Negro Svizzero. Attualmente è sparito dalle scene, ma la sua vita resterà per sempre legata a quel personaggio, quel dolce, nostalgico e meraviglioso campione capace di vincere le partite da solo, ma sempre con l’umiltà del ragazzo che giocava nei campetti di terra nelle favelas di Rio de Janeiro.

E il calciatore? Beh la storia qui si fa interessante davvero. Correva l’anno 1984, nelle sale italiane usciva Il ragazzo di campagna con un iconico Renato Pozzetto che, tra le altre cose, veniva costretto ad andare a vedere Inter Juve allo stadio. Il calcio era parte integrante della vita degli italiani e nella nostra seria A militavano campioni del calibro di Platini, Maradona, Rummenigge e Socrates, solo per citarne alcuni. L’Italia era ancora campione del mondo in carica e la gente guardava al futuro con grande fiducia. In quello stesso anno, la società sportiva Longobarda, del presidente Borlotti, veniva trascinata ad una insperata promozione in serie A dall’allenatore Gangheri e dalle punte di diamante Falchetti e Mengoni. A sorpresa, il presidente Borlotti licenzia l’allenatore, l’artefice del miracolo, e ingaggia, sempre più a sorpresa, con un annuncio televisivo che entrerà nella storia per sempre, l’allenatore disoccupato Oronzo Canà, la Jena del Tavoliere.

Il mercato però, nonostante le pretenziose promesse del presidente all’allenatore, non porterà alla Longobarda nessun campione, anche se dopo numerose trattative, che tra l’altro portano i due assi Falchetti e Mengoni alla Juventus, la neopromossa si aggiudica la metà di Giordano, da girare all’Udinese per un quarto di Zico e tre quarti di Edinho. Già sarebbe un grande colpo, ma Borlotti ha in serbo di meglio. Fa credere a tutti di puntare a Rummenigge e zac, ti piazza il colpo del secolo: Maradona! Fra tre anni. Così Canà si trova a gestire una rosa completamente priva di campioni.

Per fortuna incontra un mediatore, tale Andrea Bergonzoni, che lo porterà in Brasile per incontrare il famoso procuratore di calcio Giginho. Sarà lui a fargli scoprire un talento in erba che gioca a piedi nudi nei campetti di terra. Sarà amore a prima vista e Canà tornerà in patria con un giovane ragazzo pieno di talento. Aveva ingaggiato Aristoteles.

Il resto è storia, e tutti la conosciamo. La Longobarda dipende totalmente dal suo campione che, dopo qualche periodo di ambientamento, inizia a regalare rimonte, gol in rovesciata, colpi di tacco e gol con cavalcate solitarie che Holly Hutton levati proprio. Il modulo 5-5-5, detto anche Bi-zona, del rivoluzionario mister pugliese, esalta le doti del ragazzo. La Longobarda però ha alti, che la portano in zona europa, e bassi, che la riportano in piena zona retrocessione, seguendo l’andamento del campioncino che a tratti sente la forte saudade del Brasile. L’amore per la figlia del mister, e l’amore stesso del mister nei suoi confronti, tirano di nuovo fuori il meglio da Aristoteles. Memorabile l’aneddoto del mister che, nella camera d’albergo con Ari, gli canta una ninna nanna brasileira per farlo dormire tranquillo. Oggi sappiamo però che l’intento del presidente Borlotti era quello di tornare in serie B. Quando Canà lo scopre, mosso da orgoglio, mette in campo Aristoteles nella partita conclusiva e decisiva del campionato. Inutile dire che il campione la risolve, garantendo la salvezza alla Longobarda e la cacciata del mister.

Ma che fine ha fatto Aristoteles? Ovviamente le grandi squadre non sono rimaste a guardare e si sono contese il fenomeno brasiliano che passa al Barcellona prima e al Manchester United poi. Sempre senza lasciare traccia. Perché senza mister Canà la sua depressione peggiora sempre di più. Torna in Brasile dopo qualche anno grigio in Europa. Usa i soldi che ha guadagnato per regalare campi di calcio attrezzati per i bambini di Rio e fonda una scuola calcio insieme all’ormai ex procuratore Giginho. Nel frattempo in Italia si concludono le indagini per lo scandalo Borlotti. L’ex presidente viene arrestato per illecito sportivo e bancarotta fraudolenta. Il mondo scopre la verità sul grande mister Canà e il suo campioncino ormai sparito dalle scene. Un emissario del Flamengo incontra Aristoteles e gli offre di chiudere la carriera con loro. Accetta. Nel corso di 3 stagioni memorabili, nelle quali il Flamengo vince 3 campionati, 3 Coppe Libertadores e 3 coppe intercontinentali, Aristoteles mette a segno più di 200 gol di cui 30 in rovesciata e ben 7 dalla propria metà campo. Richiamato nella nazionale Brasiliana, all’ultima apparizione, nel mondiale americano del 94, dopo un infortunio che lo tiene fuori per gran parte del torneo, entra in campo nella finale contro l’Italia nei tempi supplementari. E proprio quando tutti sono pronti a vedere i rigori, all’ultimo secondo, sull’ultimo pallone giocabile, si avventa lui, con una magistrale semirovesciata dal limite dell’area che trafigge l’incolpevole Pagliuca e regala il titolo al Brasile. Roberto Baggio a fine partita ammetterà di non aver mai giocato contro qualcuno più forte di Aristoteles ed uscirà tra le lacrime perché, come sosterrà nelle interviste dopo partita, era sicuro che l’Italia avrebbe vinto ai rigori e lui avrebbe voluto battere il rigore decisivo.

Dopo quella partita Aristoteles lascerà per sempre il calcio giocato ma entrerà per sempre nella storia. Se lo volete incontrare, ora, lo troverete a Copacabana dove tutte le sere, insieme al suo ormai fidato amico Giginho, gestisce un barettino sulla spiaggia frequentato da molti ex giocatori e allenatori, tra cui il suo mister preferito, Oronzo Canà, che si diverte insieme al vecchio amico a dare vita a memorabili duetti di canzoni della tradizione brasiliana e pugliese.

Almeno questo è quello che immagino io. Ma non importa che fine ha fatto. Aristoteles fa parte di quel calcio di una volta, quello che faceva davvero sognare. Era il campione che avremmo tutti voluto essere. E quindi ora siamo liberi di sognarlo come vogliamo. Perché in fondo siamo tutti ragazzini che giocano a piedi nudi sulla sabbia. Siamo tutti nostalgici. Siamo tutti Aristoteles.


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