“Ci vuole un fisico bestiale/per resistere agli urti della vita/a quel che leggi sul giornale/e certe volte anche alla sfiga”. Così cantava, nel 1991, Luca Carboni. Una canzone dove il cantautore bolognese specificava il fatto che per vivere nel Mondo d’oggi bisogna avere un fisico forte per resistere a tutti i problemi che la vita mette davanti ad ognuno di noi.
Nel 1991 il protagonista della nostra storia aveva tre anni ed i suoi genitori, sicuramente,
non sapevano chi fosse Carboni. Non perché non piacesse loro le sue canzoni, ma perché difficilmente a Jundiaí, Stato di San Paolo, in Brasile, le canzoni di Carboni non arrivavano. Quel bambino nato nel 1988 da grande sarebbe diventato un calciatore, come tanti suoi connazionali. Solo che divenne un calciatore un po’…atipico: tecnico e con un buona visione di gioco, ma penalizzato da un fisico che tutto è tranne che da calciatore. Lo spazio “ma che fine ha fatto” di questa settimana è dedicato ad un giocatore un po’ amato e un po’ perculato in Italia per via della sua pancetta sfoggiata con nonchalance in campo sotto maglie in polyestere: Felipe Monteiro Diogo.
Non ha mai giocato in Serie A Felipe Monteiro Diogo, ma oggi è ancora ricordato con affetto, sopratutto dai tifosi del Brescia. Chi è Felipe Monteiro Diogo? Il vero nome di Felipe Sodinha. E ora saprete di chi stiamo parlando.
Di professione trequartista, Sodinha aveva tutto del brasiliano: estro, fantasia e paso duplo. Però Sodinha aveva un difetto che nel calcio moderno è un vero problema: la pancia. Eh sì il marchio di fabbrica di questo giocatore è stato il fisico tozzo e da cumenda che lo ha penalizzato nella corsa e nei movimenti, ma quando lui aveva la palla era una cosa fantastica.
Sodinha, 30 anni lo scorso 17 luglio, ha girato l’Italia in lungo e in largo senza giocare nella nostra massima serie: da Udine a Bari, da Pagani a Portogruaro, da Trieste a Brescia, da Trapani a Mantova e Mestre, con un breve ritorno in patria, sei anni fa, nel Ceará di Fortaleza. Nel mezzo, l’annunciato ritiro dovuto alle gambe che non lo reggevano più e che lo hanno portato sotto i ferri cinque volte. Poi ha trovato l’amore e riscoperto la fede, che nei calciatori verdeoro ha sempre la valenza di un integratore dopo una corsa sotto il cielo di una giornata di agosto.
E oggi l’ultima tappa: Rezzato. Il Rezzato, squadra di Serie D della provincia di Brescia, è il teatro, da un anno e mezzo, delle ultime prodezze di questo giocatore alto 175 cm che qualche anno fa arrivò a pesare oltre i 100 chilogrammi.
Una vita calcistica tormentata quella di Sodinha, una testa folle ed un fisico che nulla farebbe pensare al fatto di trovarsi davanti ad un calciatore molto dotato tecnicamente che con il piede sinistro metteva la palla sul piede del compagno d’attacco.
Ridurre Sodinha al fatto di essere un “calciatore ciccione” è molto svilente: nonostante alcuni problemi comportamentali e di sovrappeso, in campo dava sempre il massimo. Correva poco, ma, ripetiamo, difficilmente sbagliava un passaggio o un assist. Nonostante qualche sberleffo da parte dei tifosi avversari, usciva sempre a testa alta.
Ora milita in Serie D dopo aver fallito a Trapani, Mantova e Mestre, tra Serie B e Serie C. Quando decise di rescindere con il Trapani e di ritirarsi dal calcio, il suo tecnico di allora, Serse Cosmi, gli scrisse una bella lettera dove evidenziò che il Trapani ed il calcio perdevano un talento per via di quelle ginocchia malandate.
Prima di Rezzato, Sodinha scelse il Mestre: Serie C, un campionato duro e difficile, il campionato ideale dove testare la voglia di fare bene e tornare ad essere quello di un tempo. Per lui non ci fu nessun problema, perché sapeva che con il calcio non aveva chiuso e che era pronto a rimettersi in gioco dopo le ultime magre (di risultati) stagioni. Un taglio con il passato con alcool, feste e trasgressioni per tornare ad essere un giocatore serio.
Fisicamente oggi sembra essere un po’ più sul pezzo rispetto a prima ed il suo apporto nello spogliatoio ed in campo è da top player. E peccato che in campo abbia fatto vedere troppo poco di essere di essere stato un vero top player. E chissà che a fine stagione il Rezzato di mister Prima coadiuvato in panchina da un certo Alberto Gilardino possa lottare fino alla fine per la Serie C, guidato in attacco da quel ragazzo tracagnotto che solo i troppi infortuni hanno bloccato una carriera mai del tutto decollata. Ora c’è Rezzato e il Rezzato, cittadina a pochi chilometri a est dalla città dove si è più immedesimato, Brescia, e che ha sempre creduto in lui anche quando il fisico non lo reggeva e quando le gambe erano in riserva dal punto di vista della tenuta.
Oggi è un po’ più magro rispetto agli ultimi anni, sembra felice e i risultati si vedono. Sodinha sa quello che vuole: tornare ad essere quello di Brescia e prendere la sua squadra e portarla nel professionismo.
Perché per giocare a calcio non serve essere fisicati e prestanti: basta avere la testa da calciatore, ovvero pensare all’azione successiva, fornire la palla giusta al compagno e segnare per far felice una piazza intera. Perché “ci vuole un fisico bestiale per resistere agli urti della vita” come cantava anni fa Carboni. E Felipe da Jundiaí questo lo ha sempre saputo.
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