Argentina, terra di tango, pampas e passione calcistica. Se si pensa agli stadi del Paese sudamericano, ecco le torcida, le avalanche e tifosi che intimano le famiglie di non andare allo stadio perché si deve cantare ed incitare la propria squadra dall’inizio alla fine. L’Argentina è da sempre terra di fútbol e la sua capitale, Buenos Aires, vive di calcio 24 ore su ventiquattro, 7 giorni su sette. Il match clou laggiù è il Superclásico Boca Juniors vs River Plate. Emozionante? Andate a vedere le coreografie dei due gruppi di supporter dei club, i “La Doce” e i “Los Borrachos del Tablon”, alla “Bombonera” ed al “Monumental”, poi ci direte.
Uno che di Superclásicos se ne intende è Juan Roman Riquelme. Nato il giorno prima della finale del contestato Mondiale argentino del 1978 in una famiglia boquista fino al midollo, JRR ha scritto pagine importanti sia con il Boca Juniors sia in Europa, diventando uno dei fantasisti più acclamati del XXI secolo. Lo chiamavano “el mudo”, perché era di poche parole, ma anche “el ultimo Diez” perché dopo di lui il concetto di “numero 10” in Argentina, Maradona e Messi a parte, non è stato più lo stesso.
Ragazzo del barrio, Riquelme conobbe il calcio di strada, quello brutto, sporco e cattivo che ha dato i “natali” a tanti campioni (tipo Diego Armando Maradona). Voleva fare il calciatore, voleva diventare famoso, voleva essere come Maradona il piccolo Juan Roman. Il pibe de oro ha “rovinato” i sogni di tanti giovani argentini, ma Riquelme dormiva bene perché sapeva, in sé, di essere più forte. I paragoni con Maradona si sono sprecati, sfruttando anche sei tratti coincidenti: stesso numero di maglia, debutto per entrambi con l’Argentinos Juniors, affermazione con il Boca Juniors, Barcellona la loro prima squadra europea, successivi idoli nel calcio di provincia, quattro titoli di calciatore argentino dell’anno ciascuno.
Per capire l’”universo Riquelme” c’è da fare un salto a casa sua, dove tutti tifavano xeneize, dove tutti erano boquisti e guai a parlare del River Plate. Juan Román era così forte che un giorno ricevette una proposta sia dal Boca che dal River. Non volle deludere nessuno e neanche sé stesso: firmò con il Boca. Aveva 18 anni.
Il 25 ottobre 1997, durante il Superclásico al “Monumental”, si fece la storia: prima del fischio dell’avvio del secondo tempo, non rientrò in campo il numero 10 boquista e al suo posto entrò il 20. Un cambio come tanti, un cambio tattico, ma non fu un cambio qualsiasi, fu un passaggio di consegne: fuori Diego Armando Maradona, quasi 37 anni, dentro Juan Roman Riquelme, anni ventuno.
I tifosi del Boca Juniors iniziarono ad apprezzare Riquelme e la “Bombonera”, il tempio pagano del tifo boquista, era sempre piena, sempre festante nel vedere gli azul y oro imporsi in Argentina, in Sudamerica e nel Mondo in quegli anni. Erano gli anni della ribalta del Boca dopo anni di delusioni e con in campo il suo formidabile numero diez, il club nato da emigranti genovesi divenne una delle squadre più forti a cavallo tra la fine dei Novanta e l’inizio dei Duemila.
Ma come tutte le favole calcistiche argentine, ecco arrivare l’aereo con destinazione “Europa” e Juan Roman Riquelme passò al Barcellona.
Saranno state le troppe attese, una squadra che non girava, i troppi galli in un pollaio, l’anno sfigato che capita a tutti, fatto sta che Riquelme in maglia blaugrana fece malissimo, entrando in contrasto con un tipo non facile come Louis van Gaal con cui ebbe un non-rapporto (che tifasse River Plate l’olandese?)
Che fine aveva fatto quel meraviglioso giocatore che aveva fatto capire al Mondo che poteva esserci un secondo Maradona? Cosa fare? Quando si fallisce in una grande si va in provincia e se Maradona, nel 1984, sbarcò al “San Paolo” di Napoli, “el mudo” andò al “Madrigal” di Villarreal.
Con la maglia del “sottomarino giallo”, Juan Román Riquelme ricalcò i fasti del…Juan Román Riquelme della “Bombonera”. In quattro stagioni guidò il Villarreal al terzo posto in Liga e ad un incredibile semifinale Champions l’anno successivo, fino alla sconfitta ai rigori contro l’Arsenal nella partita di ritorno. Chi sbagliò il rigore decisivo? LUI. Qualcosa si ruppe dentro Riquelme: aveva deluso un popolo intero, l’opposto di ciò che aveva nel Boca.
Dopo un tira e molla ed una pausa di riflessione come qualsiasi coppia di innamorati, nel gennaio 2007 Riquelme tornò a rivestire la sua Maglia, quella del Boca Juniors, e fino a giugno, dall’altra parte del Mondo, Riquelme tornò quello pre-2002: assist man perfetto, estro e fantasia all’ennesima potenza. La seconda vita de “el mudo” in maglia xeneize iniziò con l’acceleratore: determinante, eccezionale, un giocatore che con i piedi sapeva quello che faceva. I tifosi boquisti videro un altro Riquelme: più maturo, tecnico, forte, artistico.
Peccato che per un ritardo nel tesseramento non poté disputare la finale del Mondiale per club contro il Milan a Tokyo nel dicembre 2007. Chissà cosa sarebbe successo con Riquelme in campo: non lo sapremo mai, ma sappiamo però che, nel 2008 e nel 2011, vinse altri due premi come miglior giocatore argentino dell’anno, raggiungendo quota quattro come Maradona.
Con molta umiltà, Riquelme chiuse la carriera nel 2015 con la squadra che lo aveva lanciato, l’Argentinos Juniors. Era in Primera B Nacional, si prefissò di portarlo in Primera División: ci riuscì e poi si ritirò.
Ancora oggi in casa Boca, il nome “Riquelme” fa ancora impazzire i tifosi della “Doce”. Tutti si ricordano i suoi movimenti, la sua tecnica e il suo agonismo: ogni volta che la palla arrivava tra i suoi piedi, la “Bombonera” sapeva che qualcosa di geniale sarebbe scaturito, qualcosa per cui valeva la pena aver pagato il biglietto. Non a caso, in maniera quasi sartoriale, gli cucirono il nome di “artista del pallone”: una sorta di Julian Ross in carne e ossa con un piede destro magico.
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