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Mourinho: “regala quel premio a tua madre…”

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«Mourinho stava per arrivare da noi all’Inter. Considerata la sua fama, mi aspettavo ordini duri fin da subito. Ma già durante gli europei, mi avvisarono che mi avrebbe telefonato a breve e io pensai: “Dio, è successo qualcosa?” Invece voleva solo parlarmi. Dire “Che bello che lavoreremo insieme, non vedo l’ora di conoscerti“, niente di strano insomma, se non che lui parlava italiano. Non lo capivo, cazzo.

Mourinho non aveva mai allenato in Italia eppure parlava la lingua meglio di me

 

Se l’era imparata in un niente, tipo in tre settimane, e io non riuscivo a seguirlo, dovemmo passare all’inglese. Mi resi subito conto che lui era speciale. Mi piacque all’istante, scattò subito la scintilla. E mi dissi: quest’uomo è uno che si fa il culo il doppio degli altri, segue il calcio ventiquattr’ore al giorno. Mai incontrato un allenatore che abbia una tale conoscenza delle squadre avversarie. Non si tratta delle solite cose: Mourinho sapeva tutto, ogni dettaglio, persino il numero di scarpe del terzo portiere tipo. Tutto. Avevi la sensazione immediata che lui avesse il controllo totale… Intorno a lui l’aria vibrava. Metteva in riga chiunque: si piazzava dietro ai tipi che si credevano intoccabili, e cominciava a lavorarci psicologicamente.

 

Era capace di affondare chiunque con poche parole: “Oggi hai fatto schifo Zlatan. Zero. Non hai combinato un cazzo”. Ricordo una partita contro l’Atalanta, il giorno dopo dovevo andare a ritirare il premio come miglior giocatore della serie A, ma a metà partita eravamo sotto e io ero stato un fantasma. Mourinho mi raggiunse: “Tu domani vai a ricevere un premio eh? Sai cosa dovrai fare quando ti consegneranno quel premio?” – “No cosa?” – “Dovrai vergognarti. Dovrai arrossire. Non si possono vincere premi quando si gioca così. Regala quel premio a tua madre…” Disse prima di andare, e io non vedevo l’ora che cominciasse il secondo tempo. Lui sapeva gonfiarmi d’orgoglio, ma allo stesso tempo affossarmi. Era un maestro nel gestire la psicologia dei giocatori. Tutti lo ascoltavano. Creava legami personali con i giocatori mediante i suoi messaggini e la sua attenzione per tutti noi: come stavamo, come stavano le nostre mogli i nostri figli… E poi non gridava mai. Tanto la gente ascoltava comunque. Faceva solo dei gesti inattesi per stimolarci. Tirava un calcio alla lavagnetta, o sbatteva il pugno contro il palmo della mano. Ti faceva venire voglia di fare tutto per lui.

Aveva questa qualità, dopo averlo ascoltato, avresti voluto uccidere per lui…» 

[Ibrahimovic su Mourinho, “Io Ibra”]


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