La storia del tecnico Maurizio Sarri e dei suoi gesti scaramantici che ne hanno contraddistinto la carriera.
Dopo più di dieci anni trascorsi tra i dilettanti, ecco per Sarri la grande occasione tra i professionisti, guadagnata col sudore, con le unghie e con i denti. Serie A? Macchè…
E’ USCITO IL LIBRO DI CHE FATICA LA VITA DA BOMBER:
Scalata completa: si parte dalla vecchia C2 per arrivare fino alla vetta! E via, pronti per completare il nostro viaggio nel mondo di Sarri, ripercorrendo la sua carriera fino ai giorni nostri in Serie A.
Si (ri)comincia: direzione San Giovanni Valdarno, alla Sangiovannese, dove rimase dal 2003 al 2005 riuscendo a trascinare la squadra in C1.
A raccontarcelo ci pensano Giuseppe Morandini, ds della Sangiovannese ai tempi di Maurizio, e Michele Tardioli, suo ex giocatore ed ora vice di Bisoli al Perugia:
“Ovviamente si vestiva sempre di nero e non voleva mai la divisa della società
– incalza Morandini –
Poi, non entrava mai in campo prima che la partita fosse iniziata e, anche per andare in panchina, faceva il giro largo ma non oltrepassava mai la linea prima del fischio iniziale.
Infine, in albergo per le trasferte, se ricordo bene, voleva sempre una stanza che avesse il ‘3’ come numero finale”.
“Io sono stato un suo giocatore sia alla Sangiovannese che al Pescara e posso dire che di storie e scaramanzie da raccontare ce ne sarebbero tantissime
– racconta Tardioli sorridendo –
ma secondo me una le batte tutte: pensate che proprio alla Sangiovannese non si tagliava le unghie dei piedi perché pensava che tagliarle avrebbe portato sfortuna…
A fine stagione probabilmente calzava un numero in più di scarpe (ride, ndr)! Invece a Pescara in Serie B, quando eravamo ormai salvi, tutta la squadra si organizzò per fargli uno scherzo:
prima dell’inizio del match contro l’Atalanta, gli chiedemmo di uscire dallo spogliatoio e calzammo degli scarpini da gioco tutti colorati, cosa che lui odiava perché voleva solo scarpini neri.
Quando poi ci vide nel tunnel, si arrabbiò tantissimo e minacciò tutta la squadra dicendo che non sarebbe venuto in panchina perché si vergognava di noi!”
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