Quando parliamo di alcol e di calcio, l’associazione prima che tutti facciamo è una sola: George Best. La sua storia è fatta di un talento come non ne vedremo più e di una passione altrettanto unica, ma sicuramente meno nobile, per i prodotti di distilleria. In questa vicenda l’alcol è il cattivo, l’elemento che ha portato via a tutti un bene comune come il numero 7 con i capelli lunghi. C’è tuttavia un altro caso in cui calcio e alcol possono stare nello stessa frase senza avere necessariamente effetti nefasti, almeno per alcune sfumature. Tutto questo è però possibile solo se il collante di quella frase è la squadra dell’Arsenal.
Chiunque abbia visto quel capolavoro moderno che è “Febbre a 90” (se non lo avete fatto, fatelo!) non può non aver visto i propri peli delle braccia rizzarsi quando Colin Firth, nei panni del protagonista, si getta addosso al proprio amico dopo che l’Arsenal ha segnato il gol che vale la vittoria del campionato. E’ il 1989 ed è una delle pagine più belle della storia dei Gunners. A guidare quella squadra ci sono Tony Adams in difesa e il delizioso Paul Merson in mezzo al campo. Quello che né Paul (il nome del personaggio), né Nick Hornby (autore del libro da cui è tratto il film), né nessun altro tifoso dell’Arsenal sa è che quei due giocatori, oltre ad essere la guida in campo per i compagni, lo erano anche in tutti i pub del mondo. Sì perché dietro all’Arsenal che nei primi anni ’90 vincerà due volte il campionato c’è una squadra di alcolisti. La parola “alcol” deriva dall’arabo e ha intrinseco nel suo significato il concetto di elisir, di proprietà magiche. Proprio questo è l’effetto che quella squadra fa ai suoi tifosi, sembrano volare, sembrano non fermarsi mai. La verità è che non lo faceva solo in campo. Dopo ogni partita, che fosse una vittoria, un pareggio o una sconfitta, vigeva la regola del 3: tre pinte di birra per volta, moltiplicato per 5-6 ordinazioni. E’ una storia incredibile del calcio moderno, e i protagonisti sono proprio Adams e Merson.
TONY ADAMS:
Tony Adams è il classico centrale inglese, rude e fortissimo fisicamente. Palla o gamba non esiste per lui, in genere è prima gamba e se si riesce anche palla. Però è forte e di quella squadra è il capitano, l’animo. Entra nelle giovanili del club a 12 anni e a 22 ha già la fascia al braccio. Fin da subito, l’alcol diventa un compagno di squadra. Beve per dimenticare una sconfitta o per festeggiare una vittoria, per dare sapore ad un pareggio. Insomma, beve sempre. Nel 1991 viene arrestato per guida in stato di ebrezza di cui “Non mi ero reso conto”, come scriverà nella sua autobiografia. Prima di questo episodio era caduto dalle scale di un pub procurandosi 29 punti di sutura in testa, dopo aver scoperto di avere un debito da saldare di 5.800 sterline. Per far sparire la birra indossa sacchetti della spazzatura, lo fanno sudare e quindi, in teoria, espellere l’alcol. Ma i risultati in campo si vedono, le critiche arrivano e Adams sembra non farcela. “Il mio valore come persona era in quello che facevo, non in quello che ero”, è la sua frase per condannare un mondo che chiede solo prestazioni e interventi in scivolata. Una moglie con problemi di tossicodipendenza, 3 figli che quasi non conosce. Nel 1996 incredibilmente partecipa agli Europei e subito dopo l’eliminazione in semifinale per mano della Germania, Tony inizia a bere. Negli spogliatoi, sul pullman, in albergo, di notte e di giorno. Da solo, Tony e le sue pinte. Nei giorni dopo si rende conto, si guarda allo specchio e capisce di non meritare tutto questo. Convoca i compagni in spogliatoio e annuncia:
“Sono un bevitore cronico, ne voglio uscire, rispettatemi”.
Adams inizia le cure, non tocca più un goccio d’alcol. Passa da essere il calciatore Tony Adams al signore Tony Adams che gioca a calcio. Ne esce, non senza difficoltà, non senza critiche. Nel 1998 però è tornato il giocatore che a Londra non vedevano ormai da 10 anni. In una stagione vince il campionato e la coppa nazionale, cosa che ripeterà anche nel 2002, quando poi decide di ritirarsi. A testa alta adesso Tony riesce a respingere anche l’alcol, non solo gli attaccanti avversari.
PAUL MERSON:
Paul Merson è uno di quei giocatori che raramente nascono in Inghilterra. Quei giocatori che rubano la scena, di quelli che poi ti rimangono negli occhi anche a partita finita da un po’. Torni a casa e pensi: “Niente male quel ragazzo con la 10”. Nell’Arsenal del titolo 1989 è incantevole per potenza fisica e dolcezza di tocco palla. Paul però accarezza molto bene la sfera come i boccali. E’ di Londra, tifoso dell’Arsenal. Non fa in tempo ad imparare ad allacciarsi le scarpe che già è nelle giovanili del club. Poi la prima squadra e la Nazionale. E’ senza dubbio uno dei migliori talenti del dopoguerra inglese. Se non fosse per l’alcol. Pian piano lo corrode dall’interno, diventa l’ombra di se stesso. La famiglia lo scarica, il mondo del calcio lo accusa. E’ un ubriacone, non conta nient’altro per la stampa. Non conta che ci sia un uomo dentro quella maglia rossa con le maniche bianche. Conta solo che beve e non gioca come dovrebbe. Ci sono dei momenti in cui la vita assume l’aspetto di un peso massimo e noi quello di un peso piuma. La vita attacca, destro-sinistro, in faccia e sui fianchi, non riusciamo a renderci conto del dolore che già arriva un altro colpo. E ad un certo punto si va K.O. Si chiede pietà, si grida basta, lasciami stare. E’ quello che pensa Paul quando nell’inverno del 1994 con la sua auto va volontariamente a schiantarsi contro un muro a 140 km/h. Voleva farla finita, tirarsi fuori da quell’insieme di vergogna e rimpianti che era la sua vita. Ma il destino raramente ci dona quello che vogliamo, e quindi Paul rimbalza. Non muore. La sua macchina si distrugge ma lui è vivo. In quel momento scatta qualcosa nella testa di Merson. L’Arsenal decide che ne ha vissute abbastanza e lo riprende in rosa, per poi cederlo a Middlesbrough e soprattutto Aston Villa, dove regalerà ancora qualche lampo di classe. Nel 1998, a dimostrazione del fatto che la vita va dove le pare, Merson è nella rosa dei 23 che vanno in Francia a giocarsi il Mondiale. Doveva essere morto da 4 anni secondo i suoi piani. Non importa a nessuno se adesso Merson non gioca più o ha fatto vedere solo parte delle proprie personalità. Sopravvivendo ha dimostrato che nella vita si può uscire da qualunque situazione. Anche dal calcio, anche dall’alcol, anche da quello dell’Arsenal.
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