Sottofondo consigliato (Michael Kiwanuka – Love & Hate)
Due destini, quello del campione… e quello dell’altro campione. In questo caso quindi manca il bandito.
Poco più di dieci anni fa Kobe Bryant eliminava i Denver Nuggets in finale di western conference e alzava la coppa per la quarta volta in carriera (che diventeranno cinque l’anno successivo) battendo per 4-1 gli Orlando Magic di Dwight Howard; oggettivamente “un po’ pochini” per sorreggere il peso della storia, di quella storia. History made, direbbe qualcuno; non per niente Kobe era un Predestinato.
I Lakers di LeBron James e Anthony Davis campioni NBA
Oggi tocca a LeBron James, che con la barba bianca e reduce da quella che forse è la miglior stagione della carriera, alza il suo quarto Larry O’Brien Trophy – va detto, anche grazie al più che complice Anthony Davis. Il verdetto della serie dice ancora W per i Los Angeles Lakers, questa volta del 23 e non del 24, per 4-2 e non per 4-1, ma sempre contro una squadra della Florida: proprio quella Miami dove James portò in tempi non sospetti i suoi talenti per vincere (e perdere) tutto il possibile e dare inizio alla sua dinastia. Predestinato.
Oggi Kobe non c’è più, è tra gli dei del basket. LeBron invece vive. E regna.
Vite parallele, destini legati. Da una grande amicizia prima di tutto. Poi dall’amore per il gioco. Oggi hanno vinto insieme. Predestinati.
Per capire però quanto Kobe sia stato importante nella maturazione umana e cestistica di LeBron occorre andare nel luogo dove tutto succede, lontano dai riflettori e dalle telecamere. Dove cadono e risorgono gli eroi. Lo spogliatoio!
Ed ecco che LeBron, a porte chiuse e per motivare i compagni di squadra gialloviola a compiere l’impresa oggi portata a termine in nome di Kobe, raccontò un importante aneddoto legato proprio alla ben nota Mamba Mentality.
L’aneddoto su Kobe riportato da LeBron
Durante le Olimpiadi di Pechino del 2008, durante la partita finale – che vedeva in palio niente meno che l’oro olimpico – tra Team USA e Spagna, Kobe decise di punire il fresco compagno di squadra ai Lakers Pau Gasol colpendolo con grande violenza in un contatto e lasciandolo a terra dolorante. LeBron stesso e i compagni si chiesero perché Bryant scelse di compiere un simile gesto in mondovisione, soprattutto nei confronti di un compagno e amico. La spiegazione è presto detta: Bryant voleva deliberatamente rafforzare Gasol umiliandolo. Il lungo spagnolo era infatti stato etichettato come “mollo” (per intenderci) dopo la sconfitta nelle Finals NBA dei Lakers contro i Boston Celtics dei big three maturata appena qualche mese prima. Ma non basta, dopo aver sconfitto la Spagna, Bryant avrebbe persino appeso la sua medaglia d’oro sull’armadietto di Gasol nello spogliatoio dei Lakers allo Staples Center di L.A. per tutta la stagione successiva per motivare ulteriormente il catalano. Il resto è storia: i Lakers finirono per vincere le Finals NBA quell’anno e anche quello successivo, vendicandosi dei Celtics.
Leave a Legacy
I media americani voglio che dopo il racconto di LeBron al gruppo, ci sia stato un brindisi alla sua memoria e alla sua Legacy.
L’eredità: oggi raccolta da The Chosen One e dai Lakers. Campioni del mondo per la diciassettesima volta. La quarta per LeBron, e non certo l’ultima.
La via infatti è tracciata e James è pronto a guidarvi i suoi come Bryant avrebbe voluto. Ancora una volta.
Non per niente, ripete spesso il Prescelto: “Dio mi ha dato le spalle larghe per una ragione”.
One more Bron. One more time!